La mia vita da single di mezza età è solo parzialmente una vita socialmente attiva.
Ok, ammettiamolo che da 40enni è più difficile ritrovarsi con gli amici, passare del tempo insieme, andare al pub o al ristorante quando tutti, o almeno la maggioranza dei tuoi coetanei, si misurano con i tempi e le esigenze di una famiglia o di un divorzio e i figli più o meno piccoli.
Però, un salto al cinema, il ritrovo a cena da qualcuno o la serata in pizzeria ogni tanto ci stanno, così pure come la visita ad una mostra o più raramente un concerto, una partita di rugby, uno spettacolo a teatro.
L. è un po' disturbato da questa mia socialità. Chiariamoci: disturbo è una parola esagerata (e inappropriata) e il problema non è che io viva una vita "altra" fuori da lui. Il problema, se problema è, sta nel fatto che io, secondo lui, frequento troppi etero mentre lui se ne sta molto più in disparte. Lui come altri.

Mi confrontavo con un gay, non dichiarato come me, lettore assiduo del blog (non diamo indicazioni ulteriori per il rispetto della sua privacy).
Mi raccontava di come poco alla volta la sua vita si era limitata al binomio casa-lavoro;
poco alla volta aveva lasciato le vite dei suoi amici a trascorrere senza di lui;
senza rotture si era comunque messo poco alla volta in disparte.
Son quelle cose che non capitano da un giorno all'altro ma disegnano la tua vita, appunto, poco alla volta.
L'età, certo, e quella storia che tutti ormai si son fatti la loro strada ma, soprattutto, il disagio di misurarsi a raccontare la propria omosessualità: mentire non gli pare più la soluzione, glissare l'argomento forse -come faccio io e come fanno le migliaia di inthecloset, quelli perlomeno che non negano spudoratamente inscenando una finta omofobia-, ma anche evitare l'argomento diventa una fatica per lui. Meglio a questo punto tirarsi da parte.

E' l'esperienza di molti, gay ma non solo. Isolarsi è la conclusione di chi fatica a vivere con serenità la propria identità.
E' vero, si può sempre vivere, fare, incontrare, sorridere, relazionarsi, senza dover condividere tutta la propria interezza, ma mi rendo ben conto che nella pienezza di vita l'identità personale passa anche (forse soprattutto) attraverso l'identità affettiva. E se questa la devi per qualche motivo celare ti trovi quasi senza argomenti e senza voglia di metterti in relazione con gli altri.
Questo lettore mi racconta che per lui leggere il blog o interagire via e-mail con altre persone conosciute qui, è una boccata di ossigeno. Il suo bisogno ora, bisogno di amicizie, deve assolutamente passare attraverso amicizie gay. Solo con i gay si sente a proprio agio. Solo con loro può sentirsi rilassato. Dichiarato o no, con altri omosessuali sente di poter avere uno scambio che non riesce ad avere con gli etero.
Molto comprensibile, direi naturale, ma riflettevo con lui se questo atteggiamento non rischia di diventare col tempo (uso un parolone) "ghettizzante".
Però mi rendo conto che va naturalmente così.
Le persone che frequentiamo, di cui ci circondiamo, sono quelle con le quali stiamo bene e che condividono con noi comunanza di pensieri o di vissuto, con le quali possiamo sentirci liberi di esprimerci in completezza. E così va da sè che da bravi gay frequentiamo principalmente (o per alcuni esclusivamente) gay.
Ci si vede in giro, in ambienti gay, o gay friendly, solo tra gay con gay, locali gay, disco gay, spiagge gay. Ci puoi trovare qualche volta con qualche amica (si, le donne sono quelle che forse più facilmente accolgono la diversità nella cerchia di amici) oppure anche con quell'amico etero di sempre, che ti vuole bene e ti frequenta ma sempre e solo in compagnia della fidanzata o mogliettina, che "accompagnarsi da solo con un gay poi gli altri possono pensare male". Ma non è solo la faccenda di un mondo che tenderebbe a lasciarti in disparte, è spesso una scelta di natura proprio più personale, perchè più... "easy".
Strano come anche la liberazione con un coming out anzichè aprirti completamente nella più ampia socialità abbia per certi versi un effetto escludente (sto generalizzando, semplificando, banalizzando, ok... giusto per rendere più semplice il concetto).
Mi viene in mente anche la considerazione fatta mesi fa da Grant nel post "L'orso": "Col coming out, a volte, non si diventa sé stessi, ma si cessa di essere sé stessi."
(Grant, ti avevo promesso un post che nascesse da questa tua considerazione. Eccolo).
O ancora, come è capitato a tutti quei gay di provincia che conosco e che si sono liberati del loro armadio che, per poter essere sereni, hanno dovuto necessariamente tagliare i ponti con la propria realtà di provenienza. Ma questa è un'altra storia e forse ne parlerò un'altra volta.