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sabato 4 maggio 2013

Siamo ciò che amiamo

...lo rilesse, lentamente. Quando finì respirava in modo irregolare, forte, e il suo piede tamburellava sulla base di scuro metallo della libreria. Il cuore le batteva forte. 


L'articolo parlava di un bambino piccolo, di nome Michel, nato da un'adolescente sbandata, probabilmente ritardata, il frutto di uno stupro. Fino all'età di quasi due anni aveva vissuto con sua madre in un casamento popolare vicino a un cantiere edilizio. Ogni giorno la madre vagava dentro, intorno e fuori dell'appartamento, persa nella sua follia. Si accorgeva appena della presenza del bambino, non sapeva nemmeno come nutrirlo e come occuparsi di lui. I vicini erano allarmati per le grida di Michel, ma quando andavano a bussare alla porta per chiederle di tranquillizzarlo, spesso lei non c'era. Usciva a tutte le ore, lasciando il bambino da solo, incustodito. Poi un bel giorno, quasi improvvisamente, i pianti si interruppero. Il bambino non gridava più, e non gridò neanche la notte seguente. Per giorni non si sentì neanche un rumore. Vennero chiamati la polizia e gli assistenti sociali. Trovarono il bambino sdraiato sul suo lettino accanto alla finestra. Era vivo e straordinariamente in buona salute, considerando quanto era stato trascurato. In silenzio, giocava sul suo squallido lettino, fermandosi ogni qualche secondo per guardare fuori della finestra. Il suo gioco era diverso da qualsiasi altro gioco avessero mai visto. Guardando fuori della finestra, sollevava le braccia, poi le bloccava bruscamente, si rizzava in piedi sulle gambe scarne, poi cadeva; si piegava e si alzava. Faceva strani rumori, una specie di scricchiolio con la gola. Cosa stava facendo?, si chiesero gli assistenti sociali. Che razza di gioco poteva essere questo? 
Poi guardarono fuori della finestra, dove erano in funzione alcune gru, che sollevavano travi maestre e travetti, o allungavano palle di demolizione sul loro unico braccio. Il bambino stava osservando la gru più vicina alla finestra. Quando questa si sollevava, lui si sollevava; quando si piegava, lui si piegava; quando le sue marce stridevano e il motore ronzava, il bambino produceva uno stridio con i denti, un ronzio con la lingua. 
Lo portarono via. Lui gridò istericamente, e non si riuscì a calmarlo, tanta era la sua desolazione per essere separato dalla sua adorata gru. Anni dopo Michel era un adolescente che viveva in un istituto speciale per handicappati. Si muoveva come una gru, faceva i rumori di una gru e, benché i medici gli mostrassero molte fotografie e giocattoli, reagiva soltanto alle fotografie delle gru, giocava soltanto con delle gru giocattolo. Soltanto le gru lo rendevano felice. Divenne famoso come "Il bambino-gru". E la domanda contro cui Jerene continuava a sbattere, leggendo l'articolo, era questa: che suono aveva? Che effetto faceva? Il linguaggio apparteneva a Michel soltanto; per lei era perduto per sempre. Come dovevano essere parse meravigliose e grandiose quelle gru a Michel, in confronto alle piccole e goffe creature che lo circondavano. Perché, Jerene ne era convinta,
ciascuno, a modo suo, trova ciò che deve amare, e lo ama; la finestra diventa uno specchio; qualunque sia la cosa che amiamo, è quello che noi siamo.
(David Leavitt - La lingua perduta delle gru)

Sì, è quello che noi siamo...



martedì 16 aprile 2013

Non hai un preservativo?


Matteo si chiude alle spalle la porta della toilette. Nessuno li ha visti entrare, ma lo eccita pensare che qualcuno sentirà i rumori che faranno o li vedrà uscire furtivamente assieme.
Il ragazzo si volta e lo bacia, incastonandogli il viso tra le mani. Sei proprio uno schianto, dice come se lo volesse divorare.

Matteo si divincola e gli mette una mano tra le gambe. Il ragazzo -Marco? - già gli abbassa la cerniera dei pantaloni, li sbottona e li cala assieme alle mutande. Afferra il pene di Matteo, si siede sul bordo della tazza e inizia a succhiarglielo con forza, facendogli quasi male. Poi torna ad alzarsi, si slaccia e abbassa jeans e mutande anche lui, baciandolo ancora, ma subito si volta e piega in avanti. Matteo lo accarezza mentre con l'altra mano armeggia tra i pantaloni alla ricerca della tasca posteriore, del portafoglio, del preservativo che c'è dove dovrebbero stare le monetine. Che sollievo, è tutto come prima, nulla è cambiato e non serve che pensi. Marco è solo un'altra fotografia che con il tempo ingiallirà e sbiadirà nella sua memoria.

Mettimelo dentro.
Matteo indugia un istante, lascia ricadere i pantaloni che si afflosciano senza rumore e torna ad alzarsi. Solo poche settimane fa non avrebbe esitato, anche se forse, anzi probabilmente, era già infetto.
E se facesse finta di non saperlo? Probabilmente ha già scopato con qualcuno da quando è malato. Da quanto tempo sarà malato?

Sarà capitato cosi anche a lui? Qualcuno con cui è stato l'ha fatto senza proteggersi perché non sapeva o aveva fìnto di non sapere?
Non hai un preservativo? Getta in aria quella monetina indifferente al suo responso, anzi sperando che il ragazzo non ce l'abbia o non lo voglia sprecare.
No, ma non importa. Sono sano, non preoccuparti. Anche tu sei sano, no?
Certo, gli risponde Matteo. Sono sano anch'io.
Allora dai, infilamelo dentro.
In effetti cosa ha da perdere? Anche lui ha pagato per la propria incoscienza. Non sarebbe certo la fine del mondo se accadesse anche a questo ragazzo di Reggio Calabria che forse si chiama Marco. Un giorno gli verrebbe un dubbio o una semplice curiosità, andrebbe a fare il test e a cuor leggero lo ritirerebbe, avrebbe uno shock, gli verrebbe un colpo, spererebbe con tutto se stesso in un errore degli analisti e si sentirebbe un idiota, ma soprattutto avrebbe la totale certezza che la sua vita sarebbe finita lì.

Glielo infila dentro. E' la sua vendetta contro quei maledetti finocchi che l'hanno contagiato. Nessuno lo giudicherà mai per ciò che sta facendo, non esistono inferno o paradiso, dei o demoni ai quali il suo gesto piacerà o spiacerà. Continua a spingere, sorridendo.

Cazzo, sei proprio un fico. La voce del ragazzo è rotta dall'affanno mentre toglie una mano dalla parete e la fa scorrere lungo la coscia abbronzata di Matteo.
Ma Matteo pensa a Francesco, al suo corpo asciutto e duro e alla pelle che conosce in ogni centimetro, con la stessa passione che i primi tempi c'era tra di loro e che adesso, necessariamente, si è sopita.

Lo vede prono nel cesso di un treno che stupidamente si fida di un figlio di puttana come Matteo. Anzi, è proprio lui che lo sta scopando e uccidendo. Quel bastardo gli mente, omette la verità, e Francesco è uno scemo a fidarsi di uno sconosciuto... Ma è Francesco. E anche tante altre cose, non solo un ingenuo imbecille: è uno scrittore, un ottimo cuoco, un esperto e raffinato collezionista di musica, una persona sensibile e dolce. E il suo amore, il suo unico e grande amore. Il figlio di puttana sta distruggendo tutto quello? Lo vorrebbe uccidere, prendere una mazza e fracassagli i denti, farglieli sputare e infierire sul suo corpo accasciato a terra, in quel cesso squallido e bollente. Su un treno... Come si può distruggere la vita di qualcuno nel cesso di un treno?
Si ferma e lo tira fuori. Rialza mutande e pantaloni, preparandosi a uscire da quel loculo soffocante.
Marco non capisce cosa stia accadendo e si volta. Che succede?
Non mi va più di farlo, gli risponde Matteo furioso. Vorrebbe picchiarlo. Picchiarlo come se fosse lui l'infetto e avesse cercato di contagiarlo. Ammazzarlo, anche lui.
Come non ti va più? Ero quasi venuto...

Rivestiti idiota. Lo strattona, sperando che lui reagisca per avere una scusa e picchiarlo davvero. Ora esco io. Aspetta qualche minuto e poi esci tu.
Il ragazzo si alza, rabbioso e pronto a lamentarsi, ma non appena vede la furia negli occhi di Matteo si ammutolisce.
Tiene lo sguardo basso mentre Matteo riapre la porta, si guarda attorno ed esce.
Attende, come gli è stato ordinato. Si specchia e sistema i capelli, ridacchiando tra se e se. Il suo amante occasionale doveva essere un balordo o un pazzo, ma almeno avrà un aneddoto divertente e assurdo da raccontare agli amici. Chissà che facce faranno?
Che gente strana c'è in giro, dirà Marcello.

Probabilmente gliel'hai fatto ammosciare, lo sfotterà Luca.
Ora se lo chiede anche lui, sentendosi colpevole e sbagliato. Non sono abbastanza bello?
Poi esce, torna al vagone e al loro scomparto preoccupato di come si comporterà Matteo, timoroso e un po' tremante.
Ma quando arriva, Matteo non c'è. La valigia e le sue cose sono scomparse con lui.
In compenso è tornata la vecchia signora chiacchierona, che sbadiglia.
Ha visto il ragazzo che c'era seduto lì? la interroga indicando il suo posto vuoto vicino al finestrino.
Quale ragazzo?

(Roberto Paterlini - Cani Randagi)

mercoledì 6 marzo 2013

Ma tu sei maschio o femmina?

Alle scuole elementari, metà anni '70, la mia classe aveva come insegnante di disegno un giovane del mio paese che aveva da poco finito il liceo artistico. In affiancamento alla nostra maestra ci insegnava varie tecniche di disegno e per noi bambini era divertente colorare, una volta con le tempere, un'altra con i pastelli a cera, un'altra ancora con i colori a dita, ecc.
Ma ciò che era maggiormente divertente era lui, l'insegnante di disegno. Spontaneo, vivace e casinista quanto noi, la cosa che ci faceva divertire erano le sue mossette "da femmina", come dicevamo noi bambini. "Perchè sei come una femmina?" gli chiedevamo  con quel misto di curiosità, innocenza, scherno e crudeltà che solo i bambini sanno usare. A questa domanda seguiva l'imbarazzo suo, e quello della maestra.

Credo sia stato il primo gay che ho incontrato sulla mia strada, persona gentile che raramente ora mi capita di rivedere (scappato,  per sopravvivenza, dal paesello) ma che definirei, affettuosamente, col senno di adulto, la tipica checca sfranta.
Al di là della curiosità che esercitava su di noi, mi ritrovavo a farmi la domanda se lui "faceva" la donna o se "era" donna.
Da bambino, pur avendo già segnali che forse ero più interessato agli amichetti che alle amichette, questa cosa non la capivo: io non ero una femmina! Si, certe cose che agli altri maschi piacevano tanto, come picchiarsi e il gioco del calcio, a me non piacevano. Ma non mi piaceva neppure, proprio no, giocare con le bambole o disegnare tutto il giorno.
Questa domanda mi ha accompagnato fino all'adolescenza credo, pensando che i gay fossero solo gli effeminati. "Ci sono i maschi, e ci sono i meno maschi. I meno maschi sono i froci".
Qualcosa però non tornava. Forse mi piacevano gli uomini ma io ero maschio, non mi sentivo femmina per nulla. Nelle seghe in compagnia da ragazzino con gli amici, nel desiderio trattenuto di un sesso più completo, non mi sono mai immaginato nel ruolo della donna. E non solo per una questione di essere attivi o passivi.

Ma il mondo attorno raccontava che i gay erano le frociarole, le checche sfrante. Lo raccontava la gente, perchè quelli erano visibili, non si diceva che i gay sono anche i muratori, i camionisti, i direttori di banca, gli insospettabili mariti.
Tutt'ora, a livello mediatico, se in una trasmissione televisiva o radiofonica c'è un gay, si scelgono quelli che per interessi gossipari o inflessione della voce siano più identificabili come "femminili".

Sia ben chiaro, uso i termini "frociarole" o "checche sfrante" senza intenzione di giudizio. Lo uso per semplificare e rendere velocemente l'idea. Credo nella libertà di espressione della propria identità e che ciascuno possa, debba!, esprimersi come vuole, con i polsi spezzati e un tocco di rimmel, o con la canottiera e l'ascella muschiata da bear.

Questo domandarsi se i gay sono realmente "maschi" credo sia ancora presente nella percezione comune della gente. L'eco creato dal film I segreti di Brokeback Mountain forse stava proprio nella rappresentazione poco comune di due gay uomini, maschi del tutto, cow-boy: l'emblema della virilità.

Ho trovato molto bella la riflessione su queste domande "essere maschio o essere femmina" narrata nel libro Cani randagi di Roberto Paterlini. Ve la propongo perchè  attraverso queste parole vengono raccontati anche gli interrogativi che mi hanno abitato.
Per meglio comprendere il brano, specifico che gli arrusi che troverete citati nel testo sono gli omosessuali passivi, termine usato nella Sicilia degli anni '40.



Francisa, sei proprio 'na femminiella mi ha detto lui allora, e se ne è andato, tutta indispettita quella scema.
Forse dovrei fargli vedere che invece sono un maschio, e forse dovrei farlo vedere anche a me stesso. Un giorno dovrò andare anche io con una donna, sposarla, fare con lei dei figli; sarebbe bene che mi ci preparassi. 
Il corpo delle donne è così più rotondo, morbido, il seno, le gambe, il loro sesso... 
Eppure non mi sento una femmina, e sono un maschio, non ne ho dubbio. 
Gli altri di piazza Alcalá si sentiranno davvero tutti femmine? 
Forse sono delle femmine che per sbaglio si ritrovano nel corpo di un uomo? Ma in quel caso perché nessuno prova pena o quantomeno un po' di magnanimità per delle anime così sfortunate? 
Oppure, forse, si sentono femmine solo perché tutti dicono che lo sono, e loro ci credono.
In realtà, io mi sento maschio anche quando lo prendo. Nemmeno in quei precisi istanti riesco a pensare di essere una donna e che un uomo stia facendo i suoi comodi con me; e non desidero che il mio sesso sia quello di una donna, né il mio corpo, né il mio viso. Di più: non vorrei essere una donna per potere andare con gli uomini come fanno le donne. Mi piace esattamente così, andarci come ci va un altro uomo, come due uomini. 
Luigi si ferma, il torace smette di colpire le gambe piegate contro il petto e il flusso dei suoi pensieri si arresta. Si scuote e stira la schiena come se si fosse scontrato con qualcuno per strada, strabuzza gli occhi e li sfrega con il dorso delle mani, recitando lo stupore come farebbe un attore sul palcoscenico. Gli sembra ci siano delle contraddizioni in tutto quel sistema, ma forse anche nel modo che ha lui di analizzarlo, o nel suo punto di osservazione, come qualcuno che non trova gli occhiali perché li ha appoggiati in testa.
Ripete con meticolosità scientifica i dati del problema: tutti i personaggi in questione, tutti maschi, tutti che vanno con altri maschi, eppure solo alcuni vengono considerati femmine, e malmenati, minacciati, e a volte si fanno addirittura qualche notte in caserma. 
E quelli considerati maschi, invece? Maschi oltre a tutto, sopra a tutto e nonostante tutto? 
A loro non succede nulla e nessuno vede niente di troppo strano - o perlomeno in qualche modo lo giustifica - nel fatto che esercitino la loro mascolinità con altri maschi, ma... Nel loro intimo, in quello strato nascosto della coscienza in cui è impossibile mentire a se stessi, andranno davvero con gli arrusi solo perché di donne non ce ne sono? Possibile che per loro non faccia nessuna differenza quando per me la differenza è così enorme? 
Forse è così. Forse io non lo riesco a capire perché non sono come loro, e sto cercando un paio di occhiali che non ho mai comperato perché nessun medico me li ha mai prescritti. Ma forse non è così. Forse quegli uomini preferiscono, in realtà, andare con altri uomini, e quindi sono le donne, le capre e le vacche i loro diversivi. Potrebbe essere? 
Luigi si rassegna a non poter trovare risposte certe a quelle domande, sforzandosi di non pensarci più. Gioca con la sabbia, infila le dita sotto terra sino al punto in cui diventa dura e impenetrabile. Poi si sdraia e guarda il cielo che sta diventando sempre più scuro, e le stelle che si dispongono ognuna al proprio posto del reticolato, su strati e altezze diverse. 
[...]

Sei tu? 
Certo che sono io. Chi altro aspettavi? risponde Franco scherzoso, ancora senza mostrarsi. 
Credevo ti fossi dimenticato, dice Luigi come per accusarlo. 
Mi sono mai dimenticato? 
No, ma... 
Ho solo fatto fatica a trovarti. Non si vede niente.
I loro corpi si avvicinano e toccano, e loro due subito si baciano. Luigi annusa l'odore della pelle di Franco pulita dal mare, le spalle e il torace, spaziosi, rassicuranti, difficili da lasciar andare. 
Fermo, fermo, dice Franco. Guarda prima cosa ti ho portato. 
E un regalo tutto per lui, un cannolo bene avvolto in un pezzo di carta marrone e vagamente macchiata dall'unto dell'impasto. 
Luigi lo libera con entusiasmo e lo guarda come un gioiello prezioso. 
E per te? Non ne hai preso uno anche per te? 
Avevo solo venti centesimi. Ma è una menzogna, Franco ha già mangiato il suo dolce lungo la strada prima di arrivare. Ho pensato prima a te. 
Allora facciamo metà ciascuno. Luigi si sente lusingato e già sta dividendo il cannolo con le dita, bene attento a che nemmeno una briciola ne cada a terra. Poi porge la prima e più abbondante porzione tra le mani di Franco. 
Grazie, bella. 
Non dirmi bella, io non sono una femmina, risponde stizzito lui, girandosi verso il mare e l'orizzonte. In quel momento sa di comportarsi proprio come una donna, anzi una bambina, ma è più forte di lui, non può farne a meno. 
Scusami, scusami. Credevo ti facesse piacere che te lo dicessi, si difende Franco alzando le braccia al cielo come di fronte a un fucile, avvicinandosi a lui, baciandolo sulla guancia e poi lungo il collo, accarezzandogli la pancia calda sotto la camicia sbottonata. Che ti trattassi come la mia ragazza... 
Luigi non sa cosa rispondere. E gli fa effettivamente piacere - in quella botola della coscienza nella quale nemmeno lui riesce a mentirsi - essere trattato come la sua ragazza, godersi le premure e i piccoli regali, anche se insignificanti come un cannolo. 
Se ti dispiace davvero, questa volta il maschio lascialo fare a me, gli dice comunque, divincolandosi di nuovo dalle sue carezze, muovendosi al buio verso il mare sino a sentire l'acqua sfioragli le dita dei piedi. 
Ma sei diventato matto? Franco sembra persino divertito, come se Luigi gli avesse chiesto di volare o trasformarsi in una figura mitologica per dimostragli il suo amore. 
Perché? gli chiede Luigi. 
E infatti, perché? chiede anche a se stesso. Perché è da pazzi pensarlo e chiederlo? Sono due maschi entrambi: è cosi fuori luogo pensare che possano scambiarsi lo stesso ruolo? E' solo un ruolo. Se non fossero nati e cresciuti a Catania, e l'arvulu rossu e la parola arrusu non esistessero, sembrerebbe ancora così assurdo che per una volta gli stessi personaggi venissero interpretati da attori diversi?
Certamente no. 
Perché? si sta domandando lo stesso Franco. In realtà più di una volta ha riflettuto sull'opportunità di provarci, e poi si è trattenuto dal chiederlo solo per timore e vergogna, e perché non voleva che tutti lo chiamassero arrusu
Certo, con Luigi sarebbe diverso: resterebbe tra loro, su questo non ha dubbi, ma forse dopo lui smetterebbe di vederlo come un maschio e non vorrebbe più starci assieme. Oppure starci sempre in quel modo. 
Sarebbe doloroso? dubita poi. Al di là del dolore, umiliante? Certo, se riesce a immaginare che il resto del mondo non esiste, anche l'umiliazione sparisce. Ma il resto del mondo c'è. 
Non lo so, dice infine. Ma io sono maschio. Non c'è bisogno di essere ragionevole su una questione del genere, pensa. E per quale motivo in fin dei conti? Per una parola sbagliata? Anzi, una lettera? 
Anche io sono maschio, e lo sono sempre stato, anche quando lo prendevo. Anche quando lo prendo, lo incalza Luigi. 
I maschi non lo prendono. Le femmine lo prendono. 
Allora io sarei una femmina? Mi hai mai visto con il rossetto o con la gonna? Credi che possa partorire un figlio? Credi che le femmine abbiano questo? gli dice stringendosi con forza la patta. 
No. No... Certo. Dai. non litighiamo, gli risponde Franco, davvero incapace di ribattere.
I maschi lo mettono e le femmine lo prendono: perché Luigi la sta facendo tanto lunga? Lui è un maschio, non gli interessa prenderlo. 
Lo bacia, stringendolo forte.
Luigi pensa che effettivamente non gli importa, che se lo facesse sarebbe solo per dimostrare di essere un maschio per davvero; ma in fin dei conti, dimostrarlo a chi? 
Non agli altri. Non in una cabina nascosta sulla spiaggia e senza comunque poterlo o volerlo dire a nessuno. A sé stesso? 
O solo a Franco?
Forse sì, ma pensa che lui comunque non lo capirebbe, o almeno non del tutto. Franco non si è sicuramente mai posto quelle domande come tutti i maschi non è tipo da chiedersi certe cose, e in questa strategia sta probabilmente il segreto della sua serenità. 
A cosa pensi? gli chiede il figlio del sarto Fanucci appoggiandogli un braccio attorno alle spalle, e mettendosi a esplorare l'orizzonte alla ricerca di quelle stesse cose invisibili che anche Luigi sembra non trovare. 
Non lo so. 
E se invece lo volesse semplicemente sperimentare? Se non avesse significato o giustificazione e non servisse a dimostrare nulla a nessuno? Se fosse solo un istinto, anche per lui? 
Avrebbe meno senso? 
Immagina di no. Non ci sarebbe comunque nulla di male. E Franco dovrebbe capirlo ed essergli complice. Se davvero tenesse a lui e lo considerasse più di un semplice arrusu, dovrebbe assecondarlo. 
Ma se invece non lo facesse? 
A questo punto lo dovrebbe lasciare.
Forse è per questo che si sentiva così agitato prima che si vedessero: sapeva che qualcosa sarebbe accaduto e che avrebbero litigato, forse per sempre.
Ma lo potrebbe davvero lasciare per una stupidaggine del genero? 
Si pente di avergli fatto quella domanda, di essersi messo nella situazione in cui otterrà esattamente ciò che vuole, come un despota irragionevole, o lo dovrà lasciare e perdere. Ora, la sua stessa posizione gli sembra insensata e rigida. 
Anche Franco è perplesso, Guarda Luigi e stanno in silenzio per qualche secondo, mentre l'unico rumore che li accompagna è quello quasi impercettibile delle onde che lambiscono la riva. 
Pensa, teme, che forse Luigi sia cambiato o stia cambiando. Non si era mai posto il problema di dare un nome al suo ruolo, l'aveva conosciuto come un arrusu e forse dentro di sé aveva continuato a considerarlo così. 
E' solo un arrusu
E se andasse con un altro? 
No, no. 
Fa male prenderlo? gli chiede con un filo di voce. 
Certe volte, non sempre. 
Che ci stia pensando davvero? si chiede Luigi. Se Franco accettasse, lui lo vorrebbe fare sul serio? 
E va bene, dice Franco all'improvviso. Questa volta mettimelo tu. 
Davvero? 
Davvero... Però non capiterà tutte le volte. 
Non voglio diventare una femmina nemmeno io.
Luigi sorride timoroso. Vorrebbe spiegargli che non lo sarebbe comunque, che gli arrusi non sono femmine. Ma per Franco sarà un obbligo, una violenza? si chiede invece. Nel suo essere così semplice e solido, come un grande tavolo di rovere, lo accetta solo per accontentarmi? 
Invidia il suo filtrare tutto attraverso la generosità e la gentilezza. Pensa sia il ragazzo più buono che conosce, forse il migliore del mondo, e che forse lo ama davvero.
Lo abbraccia e si baciano, sdraiandosi nella sabbia. Luigi gli trova un filo nei capelli, un residuo del lavoro sopravvissuto al mare, e stando bene attento a non strappargliene nemmeno uno, lo districa e lo guarda - lo immagina, in realtà, al buio sentendo nei confronti di Franco una tenerezza smisurata. Invidia quel filo, la possibilità che ha avuto di passare con lui tutta la giornata alla luce del sole, e improvvisamente la paura di prima scompare. 
Nessuno lo saprà mai e accadrà solo quella volta. Lo faranno in quel modo nuovo perché così anche lui diventerà come un filo, sarà nascosto dentro al corpo di Franco in ogni momento, esattamente come Franco è nel suo, invisibile ma costantemente vicino e presente.
(Roberto Paterlini - Cani Randagi)

venerdì 1 marzo 2013

Il sesso cancella

E' andata.
Quello che era il bisogno fisico, quello che voleva essere solo un incontro senza altre aspettative, è arrivato.
Ed è arrivato nel  modo che desideravo.
Perchè dopo una relazione di 2 anni non intendo buttarmi subito in un'altra storia che mi coinvolga troppo. Non ce la faccio, non mi ci riesce, non mi scatta interesse, ora.
Certe piaghe bruciano e ripartire subito con un'interazione affettiva, conoscenza dell'altro e desideri comuni da coltivare è come buttare sale sulla carne viva.

Però bruciava anche questo bisogno non soddisfatto di fisicità, ardeva la fame di sesso che è piacere scambiato.

E' stato di tutt'altro titolo rispetto a prima. Si, tutt'altro.
Ma nell'esperienza pur distaccata il risultato per la carne ha avuto un effetto liberatorio.

Il sesso cancella fette di vita che uno nemmeno si immagina. Sarà anche stupido, ma la gente si stringe con quello strano furore un po' panico e la vita ne esce stropicciata come un biglietto stretto in un pugno, nascosto con una mossa nervosa di paura. Un po' per caso, un po' per fortuna, spariscono nelle pieghe di quella vita appallottolata mozziconi di tempo dolorosi, o vigliacchi, o mai capiti. Così.
(A. Baricco - Castelli di Rabbia)

Già!


martedì 29 gennaio 2013

Non siate felici!


E' dello scorso venerdì la notizia della presa di posizione omofobica del governo russo Putiniano: 388 voti a favore, 1 astenuto e 1 contrario per la proposta di legge per abolire la propaganda omosessuale. Numeri spaventosi. Dico: 388 su 390. Non c'è stata partita.

La legge prevede che, in nome di una fantomatica "tutela dei bambini" sia vietata l'espressione del mondo gay in forma pubblica, quindi, ad esempio l'organizzazione dei gay pride, manifestazioni di sostegno ai diritti dei gay ma anche la semplice proiezione di film a favore delle coppie omosessuali.
Voglio dire, probabilmente i gay non spariranno dal cinema russo se saranno rappresentati come vergognose macchiette con lustrini e scheccate isteriche da comicità grossolana, ma il popolo degli Urali si scordi di poter veder raccontata, ad esempio, la vicenda dei due cowboy di Brokeback Mountain. E probabilmente se un gay farà la sua vita tranquilla, silenziosa e insoddisfatta manco andrà in galera. Bontà loro...

E' odioso solo a pensarci, per tanti motivi. Prima di tutto la mancanza di libertà d'espressione, voglio dire, mica pizza e fichi.
Ma c'è un aspetto che ancor più mi colpisce in questa legge votata in questa prima fase (servono altre 2 votazioni per l'approvazione definitiva) che ritengo ancor più violento del divieto a sfilare con orgoglio e far festa per i propri diritti.
L'aspetto che più mi scandalizza è uno dei termini utilizzati: è vietata qualsiasi rappresentazione positiva delle coppie omosessuali. Attenti bene, non è vietata qualsiasi rappresentazione delle coppie omosessuali, ma son vietate le rappresentazioni positive.
A pensarci vien da accaponar la pelle. Vietare rappresentazioni positive delle coppie omosessuali significa "tollerare" (ed è già un pessimo termine) i gay ma solo se esempi negativi, complicati, infelici. Ancora torna lo stigma del gay come deviato e deviante, malato, irrisolto.


I gay felici sono in effetti troppo rivoluzionari. Dimostrare che la tua identità sessuale non solo non è uno scandalo o una anormalità, ma che addirittura si può vivere una vita felice e realizzata, essere testimonianza di questa gioia, è davvero troppo sconvolgente. Infatti, di fronte agli esempi tangibili, agli amori vissuti, a vite soddisfacenti, chi guarda non può più far finta di non aver visto, non può non interrogarsi.
E questo è rivoluzionario, questo è pericoloso secondo il governo russo, loro non sono nati ieri, le sanno bene queste cose: mostrare libertà, felicità e verità è sempre stata l'arma più efficace per le rivoluzioni. Quanto quel bambino che ebbe il coraggio di evidenziare l'ovvietà che "il re è nudo!". Quindi la strategia è: reprimerle.

Mi chiedo solo quanto e per quanto la felicità e la verità possano essere represse. Ma questa è un'altra storia... e ve la racconto qui:

Una volta, in una città lontana, venne al mondo un bambino trasparente. Attraverso le sue membra si poteva vedere come attraverso l'aria e l'acqua. Era di carne e d'ossa e pareva di vetro, e se cadeva non andava in pezzi, ma al più si faceva sulla fronte un bernoccolo trasparente.
Si vedeva il suo cuore battere, si vedevano i suoi pensieri guizzare come pesci colorati nella loro vasca.
Una volta, per sbaglio, il bambino disse una bugia, e subito la gente poté vedere come una palla di fuoco dietro la sua fronte: ridisse la verità e la palla di fuoco si dissolse. Per tutto il resto della sua vita non disse più bugie.
Un'altra volta un amico gli confidò un segreto, e subito tutti videro come una palla nera che rotolava senza pace nel suo petto, e il segreto non fu più tale.
Il bambino crebbe, diventò un giovanotto, poi un uomo, e ognuno poteva leggere nei suoi pensieri e indovinare le sue risposte, quando gli facevano una domanda, prima che aprisse bocca.
Egli si chiamava Giacomo, ma la gente lo chiamava “Giacomo di cristallo”, e gli voleva bene per la sua lealtà, e vicino a lui tutti diventavano gentili.
Purtroppo, in quel paese, salì al governo un feroce dittatore, e cominciò un periodo di prepotenze, di ingiustizie e di miseria per il popolo. Chi osava protestare spariva senza lasciar traccia. Chi si ribellava era fucilato. I poveri erano perseguitati, umiliati e offesi in cento modi.
La gente taceva e subiva, per timore delle conseguenze.
Ma Giacomo non poteva tacere. Anche se non apriva bocca, i suoi pensieri parlavano per lui: egli era trasparente e tutti leggevano dietro la sua fronte pensieri di sdegno e di condanna per le ingiustizie e le violenze del tiranno. Di nascosto, poi, la gente si ripeteva i pensieri di Giacomo e prendeva speranza.
Il tiranno fece arrestare Giacomo di cristallo e ordinò di gettarlo nella più buia prigione.
Ma allora successe una cosa straordinaria. I muri della cella in cui Giacomo era stato rinchiuso diventarono trasparenti, e dopo di loro anche i muri del carcere, e infine anche le mura esterne. La gente che passava accanto alla prigione vedeva Giacomo seduto sul suo sgabello, come se anche la prigione fosse di cristallo, e continuava a leggere i suoi pensieri.
Di notte la prigione spandeva intorno una grande luce e il tiranno nel suo palazzo faceva tirare tutte le tende per non vederla, ma non riusciva ugualmente a dormire.
Giacomo di cristallo, anche in catene, era più forte di lui, perché la verità è più forte di qualsiasi cosa, più luminosa del giorno, più terribile di un uragano.

(Gianni Rodari - Giacomo di cristallo)

Aggiornamento del 30/01/2013
Ascolta l'approfondimento di Radio3Mondo
Intervista a Claudio Salvalaggio, corrispondente da Mosca per l'ANSA. Dal minuto 6.25 la vita della comunità omosessuale; al minuto 8.25 si parla delle punizioni previste dalla legge; al minuto 12.15 i gay nella vita quotidiana.

domenica 27 gennaio 2013

Il confino


Lo pregai di dire che lui era il maschio e io la femmina, così al confino mandarono solo me.



Capita a fagiolo, in questa giornata della memoria, la recensione che ho trovato nell'inserto del Corriere della sera, La Lettura, del romanzo CANI RANDAGI di Roberto Paterlini.
Capita in concomitanza con questa giornata di ricordo dello sterminio avvenuto nei campi di concentramento dove insieme  ai 6 milioni di ebrei andrebbero ricordati anche altri deportati, zingari, omosessuali, testimoni di Geova...
Negli anni '30 e '40 il fascismo attuava comportamenti repressivi nei confronti degli omosessuali «dediti
alla pederastia passiva, con grave pregiudizio per la moralità pubblica e per la integrità della stirpe, costituendo, perciò un serio e pericoloso nocumento per la Società», cosa raccontata anche nel film UNA GIORNATA PARTICOLARE di Ettore Scola di cui vi ho già detto qui

Vi lascio una traccia per la trama del libro che ancora non ho letto ma che mi procurerò sicuramente.


Una mattina di fine estate, Federico e Giacomo trovano sul fondo di un comodino una vecchia audiocassetta risalente alla metà degli anni '80. Sul nastro è incisa l'intervista che lo zio di Giacomo, Francesco, fece a Luigi de Lorenzi. Il signor de Lorenzi, uomo mite, di grande umanità, è testimone diretto della terribile esperienza di confino cui furono condannati negli anni '30 gli arrusi, come allora venivano chiamati gli omosessuali.
A partire dall'audiocassetta, la narrazione si divide in tre vicende. La prima è proprio quella di Luigi de Lorenzi nella Sicilia degli anni '30 e poi sulle isole Tremiti. Al suo racconto s'intreccia la disperazione di Francesco: il virus più temuto degli anni '80, l'Aids, ha colpito il suo compagno. Infine, ai giorni nostri, Giacomo è tormentato dalla paura di essere ormai incapace di amare. La fedeltà è la malta di ogni rapporto d'amore o è possibile accettare l'altro fino al punto di non limitarne la libertà?



martedì 15 gennaio 2013

Travestire i bisogni


Per la serie, siamo belli perchè siam complicati, vi propongo una riflessione:
L'amore che dovrebbe essere l'espressione genuina e non filtrata dei nostri bisogni a volte si veste di finzioni per esistere. 
Leggevo il brano che vi riporto qui sotto (un esempio relativo ad una coppia etero, ma vale per tutti) e mi trovavo ad interrogarmi. Quando scatta un interesse per una persona come ci approcciamo? Abbiamo bisogno di mettere in atto strategie per conquistare chi ci piace e ottenere da quella persona ciò che fa parte dei nostri desideri? A volte non sono strategie del tutto consapevoli. Vediamo:


Immaginiamo la situazione seguente: Tomas di Amburgo si trova per affari a Portland, Oregon, dove conosce Jen. Hanno tutti e due ventotto anni e lavorano nell'industria informatica. Jen piace subito a Tomas. Passano alcuni giorni e lui inizia a conoscerla meglio, ride alle sue battute sulle persone con cui lavorano, ammira le sue acute analisi politiche e le sue opinioni intelligenti su musica e film. Inoltre, Jen gli fa tenerezza: quando gli ha raccontato, a cena, che chiama sua madre ogni giorno anche quando è in viaggio e che il suo migliore amico è il fratello minore, che ha undici anni e adora arrampicarsi sugli alberi, l'ha trovato molto dolce. 
Quando un amico chiede a Tomas di Jen, lui gli confida di trovarla piuttosto carina. Anche lui piace a Jen, ma non nello stesso modo. Lei vorrebbe farlo sdraiare sul copriletto viola della sua camera al motel (il Crown Court Inn) e mettersi a cavalcioni sopra di lui. Vorrebbe prenderglielo in bocca e contemplare l'espressione di piacere sul suo viso

Da quando si sono conosciuti, ha immaginato ripetutamente il suo corpo seminudo in posizioni diverse. L'ultima volta ha fantasticato di farlo con lui in una delle sale riunioni in cui lavorano. Ma a parte questo ruolo nel suo immaginario sessuale, Jen - che è un'amica leale, una cittadina perbene e che un giorno diventerà anche una buona madre - non ha alcun dubbio: per lei Tomas sarebbe un compagno fisso del tutto inappropriato. Non riesce a immaginare di sopportare per una vita intera la sua allegria, il suo amore per gli animali e il suo entusiasmo per il jogging. La sera prima ha avuto grossi problemi a concentrarsi sulla lunga storia che lui le ha raccontato a proposito di sua nonna, che è ricoverata in una casa di riposo con una malattia che i medici non riescono a identificare. Dopo il sesso, Jen sarebbe più che felice di non rivederlo mai più.

Il dilemma che queste due persone affrontano è endemico nella nostra società, che perfino al giorno d'oggi non offre alcun sistema semplice per dare voce ai nostri desideri di amore e sesso, spesso divergenti. Tendiamo a girare intorno a ciò che vogliamo, a travestire con pretesti i nostri bisogni, in genere mentendo, spezzando il cuore a qualcuno e soffrendo, tra frustrazioni e sensi di colpa. Non siamo ancora arrivati a una fase dello sviluppo umano in cui Jen potrebbe dire apertamente a Tomas di desiderarlo sessualmente e nulla di più. Alle orecchie di molti, questa affermazione sembrerebbe brutale (forse anche crudele), animalesca e volgare. Ma nemmeno Tomas, del resto, può essere sincero, perché il suo desiderio di trovare l'amore con Jen sembrerebbe sdolcinato e mediocre. Il tabù che gli impedisce di dichiararle: « Voglio amarti e prendermi teneramente cura di te per il resto della vita » è forte come quello che vieta a lei di dirgli: «Vorrei scoparti nella mia stanza d'albergo e poi dirti addio per sempre». Per avere una possibilità di ottenere ciò che vogliono, entrambi devono mentire sui propri desideri. Jen deve stare bene attenta a non lasciar intendere che il suo interesse per Tomas è puramente sessuale e Tom non può dar voce alla sua ambizione d'amore, per paura che Jen se la dia a gambe. Entrambi sperano di riuscire a ottenere il risultato desiderato senza dover specificare esplicitamente di cosa si tratti. Quest'ambiguità di solito dà origine soltanto a tradimenti e aspettative infrante. Chi vorrebbe amore ma ottiene solo sesso si sente usato. Chi cerca sesso ma per ottenerlo deve fingere di volere amore, se costretto a iniziare una relazione, si sente in trappola o, se riesce a fuggire, si sente perverso e disonorevole.
In che modo la nostra società potrebbe mettere Tomas e Jen, e altri come loro, nelle condizioni di ottenere un risultato migliore? 
Prima di tutto riconoscendo che nessuno dei due bisogni ha un primato morale sull'altro: desiderare l'amore più del sesso, o perfino al posto del sesso, non è «meglio» o «peggio» del contrario. Entrambi devono avere un ruolo nel repertorio di sentimenti e desideri umani. 
Secondo, in quanto società, dobbiamo trovare il mezzo di far sì che questi due bisogni possano essere espressi liberamente, senza paura del biasimo o della condanna morale. Dobbiamo mitigare i tabù che circondano questi due appetiti per ridurre al minimo la necessità di dissimulazione, e quindi il dolore e i sensi di colpa che provoca. Finché  l'unico modo di ottenere sesso sarà fingere di essere innamorati, alcuni di noi mentiranno tentando il tutto per tutto. E finché l'unica chance di trovare un amore duraturo sarà fingersi avventurieri pronti a fare sesso in una stanza di motel con qualcuno che abbiamo appena conosciuto, altri correranno il rischio di sentirsi abbandonati il mattino seguente. 
E' arrivato il momento di dare al bisogno di sesso e al bisogno d'amore lo stesso rispetto, senza alcuna patina di moralismo. Sono necessità che possono essere provate in maniera indipendente l'uma dall'altra e che hanno un valore e una validità equivalenti. Sono necessità che non ci devono costringere a mentire per poterle soddisfare.
[Alain de Botton - Come pensare (di più) il sesso]



Mi pare che non sia questo che non abbia funzionato tra me e L., ci sarà invece altro che dovrò capire. Ma sull'argomento di questo esempio siamo da subito stati onesti nel raccontarci le esigenze di entrambi: il bisogno di sesso, quello fisico ormonale e godereccio, nella primissima fase, accompagnato dal bisogno di "affetto e compagnia" imparando a conoscerci.

Forse è anche vero che per dei gay sia più facile non farsi troppi scrupoli a esprimere il bisogno di fisicità perchè non accompagnati dal timore di essere considerati volgari (come può esserlo invece per una donna) mentre vedo di più la paura ad esprimere il bisogno di amore (come tutti i bravi maschietti che vogliono fare i duri e indipendenti).

Mi chiedo però se ci son stati altri aspetti dove non siamo stati in grado di manifestare appieno le nostre aspettative e ora rischio di crucciarmi e voler psicanalizzare il nostro amore per capirci qualcosa, quando semmai non c'è poi molto da capire ma semplicemente da accettare.

Ma voi cosa ne pensate? Non su di me e L. ma su questo tipo di dinamiche? Vi siete riconosciuti in qualcosa di simile nelle vostre esperienze?

lunedì 7 gennaio 2013

Fran!


A me m'ha sempre colpito questa faccenda dei quadri. Stanno su per anni, poi senza che accada nulla, ma nulla dico, fran, giù, cadono. Stanno lì attaccati al chiodo, nessuno gli fa niente, ma loro a un certo punto, fran, cadono giù, come sassi. Nel silenzio più assoluto, con tutto immobile intorno, non una mosca che vola, e loro, fran. Non c'é una ragione. Perché proprio in quell'istante? Non si sa. Fran.
Cos'é che succede a un chiodo per farlo decidere che non ne può più? C'ha un'anima, anche lui, poveretto? Prende delle decisioni? [...] Non si capisce.
E' una di quelle cose che è meglio che non ci pensi, se no ci esci matto.
Quando cade un quadro.
Quando ti svegli un mattino, e non la ami più.
Quando apri il giornale e leggi che è scoppiata la guerra.
Quando vedi un treno e pensi io devo andarmene da qui.
(A.Baricco - Novecento)
La notizia è questa e non ci giro intorno poi molto:
la storia tra me e L. è finita.

E' finita ieri, tra le lenzuola del nostro alberghetto, quello che era da tanti mesi (come aveva suggerito "freedog" solo qualche post fa) la nostra Brokeback Mountain, il luogo privilegiato dei nostri incontri.

E' finita per vari motivi: alcuni chiari, altri aleatori che un po' mi lasciano sgomento. Alcuni mi vedono del tutto consapevole e comprensivo, altri raccontano delle nostre fragilità. Vorrete capire che, per rispetto più di L. che mio, non verrò a raccontare.


E' finita come quel quadro che cade giù, con la differenza che la cosa non è stata improvvisa ma da dicembre mi accorgevo di scricchiolii e cedimenti.
Ma quando il quadro cade è sempre un fran! e ti spaventi.
E ora non vorresti pensarci per non fare impazzire il cuore. A botta calda impazzisce prima quello.

E' finita facendo l'amore, o forse ieri era già "solo" sesso. E' finita tra sorrisi e goccioloni. E' finita col cuore che mi scoppia d'affetto e nessun rancore.
Nessun rancore.

Ho sempre pensato che la fine di un amore come è stato il nostro, così nascosto, privato, intimo, che ha dovuto sopportare in silenzio anche le macerie del terremoto, sarebbe stata devastante e rabbiosa. Un amore così, pensavo, poteva finire solo con un gran litigio e rabbia in corpo da vomitare addosso all'altro.
Non è così. Per fortuna, non è così.

Vorremmo anche, come dire..., accompagnarci alle nostre nuove vite.
Spero di non essere sopraffatto dal dolore. All'oggi siam tristi ma sereni. Questa cosa mi da pace.
C'è solo quella paura, quella domanda che compare alla fine di ogni amore: che la bellezza che ti è stata data da vivere non la potrai raggiungere più...

Finito il tempo di cantare insieme
si chiude qui la pagina in comune
il mondo si è fermato io ora scendo qui
prosegui tu, ma non ti mando solo…

Ti lascio una canzone
per coprirti se avrai freddo
ti lascio una canzone da mangiare se avrai fame
ti lascio una canzone da bere se avrai sete
ti lascio una canzone da cantare…
una canzone che tu potrai cantare a chi… 
a chi tu amerai dopo di me….

Ti lascio una canzone da indossare sopra il cuore
ti lascio una canzone da sognare quando hai sonno
ti lascio una canzone per farti compagnia
ti lascio una canzone da cantare…
una canzone che tu potrai cantare a chi…
a chi tu amerai dopo di me…
a chi non amerai senza di me….

venerdì 2 novembre 2012

Lettere gay da terre di guerra

Settantasette e-mail.
Settantasette invii per raccontare al proprio compagno rimasto a Londra, i pensieri, i dubbi e le rabbie da parte di un volontario dell'esercito in una missione nella Bosnia post-guerra.
Vi lascio qualche estratto dal libro Sahib, che ho finito proprio oggi.
Pensieri ironici e acri che mostrano come le diversità culturali, morali, politiche contino molto nella percezione del mondo. E tra questi traspaiono le fatiche di un amore a distanza. Con le gelosie, le insicurezze e gli inevitabili colpi di scena.

La fatica dell'amore a distanza
Peperoncino, hai deciso di non scrivermi?
Credimi, so cosa dico quando non ti permetto di venire. Anch'io ti desidero. Anche tu mi manchi. Anch'io sono fatto di carne e mi manca il sesso. Neanche io ho abbracciato nessuno da quando ci siamo salutati all'aeroporto.
Una volta a settimana, quando se ne accumula abbastanza, mi libero dello sperma in più sotto la doccia, ed è tutto. Perché non capisci?
Io qui sono in missione! Non sono un rappresentante dell'organizzazione gay, io rappresento la Corona e la Chiesa, due valori senza i quali questa gente ha vissuto per mezzo secolo. Se non posso passeggiare con te abbracciato, preferisco non farlo per niente. Io mi sono riprogrammato qui, e tu saresti un virus pericoloso per il mio nuovo programma. Io so che qui le cose costano di più di quanto è scritto, perché gli spiccioli non ce li restituiscono. Invece ti danno delle gomme da masticare dolcissime e orribili. Io so già che effetto avrebbe su di te. Mi devi credere, faremmo l'amore per due ore e per le altre ventidue litigheremmo.
Ti scriverò come se tu non fossi arrabbiato e come se rispondessi alle mie lettere.

Essere maschi, essere gay, nei balcani
Caro George,
non è facile rispondere alla tua domanda.
Qui gli uomini tra di loro si odiano con amore. Fanno guerra come se facessero l'amore. [...]
La mascolinità è uno status che bisogna dimostrare di continuo. I maschi nascono con le rughe sulla fronte, per la responsabilità storica che hanno verso la nazione e la prole. Le cicatrici si portano come medaglie. Metà delle vetrine delle librerie sono piene di guide sulla storia nazionale, e l'altra metà di giocattoli (soprattutto fucili e pistole di plastica). Immagina i nostri tifosi al derby, ma molto meno ubriachi e molto più armati, e avrai l'immagine dei maschi di qua. Però questi qui sono più nervosi, perché la partita è stata interrotta e la ripresa è incerta. (Più di una volta ho sentito che la pace di Dayton è un intervallo tra il primo e il secondo tempo). E vero che li disarmiamo in continuazione e che abbiamo fuso tonnellate di fucili sequestrati, ma questo non è sufficiente nella terra dove i mortai venivano distribuiti come armamento personale.
E adesso, per finire, rispondo alla tua domanda: possiamo organizzare qui una parata gay?
Durante la guerra si sono firmate non so quante migliaia di tregue, nessuna delle quali è mai stata rispettata del tutto. Sparavano e uccidevano anche a Natale, durante il Bajram, a Capodanno. Sono sicuro che siamo stati noi a incoraggiarli. Perché se davvero avessimo voluto fermarli e farli stare insieme avremmo potuto organizzare una parata gay, e tutti si sarebbero uniti per darle insieme di santa ragione agli omosessuali. Qui i genitori cadono in depressione se un figlio vuole diventare ballerino. Se lo vedessero in una parata gay morirebbero per la vergogna. Preferirebbero vederlo senza piedi che con le scarpette da ballo ai piedi. (Il che è comprensibile, perché nel balletto sono ultimi al mondo mentre nella pallavolo per invalidi sono i primi. E se pensi che stia esagerando, devi leggere la dichiarazione di un esperto di qua che lamenta la carenza di juniores nella squadra di pallavolo per invalidi).
Parata gay in Bosnia? Nemmeno per sogno! Gli Hare Krishna avevano tentato qualcosa di simile e sono stati presi a coltellate. A noi ci prenderebbero a calci per non sporcarsi le mani. E sono quasi sicuro che a picchiarci sarebbero più le donne degli uomini. Come gli uomini vengono allevati per l'esercito, così le donne vengono allevate per il matrimonio. Gli uomini ci disprezzano, le donne ci odiano. Per gli uomini siamo poveracci, per le donne malati. Le donne sono la mia più grande delusione di questo Paese. Invece di spiegartelo ti racconterò un aneddoto che gira in ufficio in questi giorni: un ragazzo della sorveglianza ha divorziato. E l'ha presa molto male. Anche sua madre era dispiaciuta nel vederlo così abbattuto. Gli ha detto di tirarsi su, che la vita continua, che troverà un'altra, che ci sono tante donne, che non è la fine del mondo... E poi gli ha chiesto di chi è la colpa del divorzio. Il ragazzo ha alzato le spalle e ha ammesso: "Io". E la madre allora: "Figlio di puttana!"
Parata gay in Bosnia?
Impossibile. Gli omosessuali qui possono fare una parata solo in anfibi e uniforme mimetica. E se scandiscono i nomi dei loro capi e delle loro tribù di appartenenza.


A spiegare l'essere gay

Sakib si considera no-global, però lavora per i soldi dei globalisti. E ateo, però cita il Manifesto Comunista più spesso che io il Nuovo Testamento. Si considera un liberale, però è pieno di pregiudizi.
Ieri, tornando dal funerale, mi ha detto che sa che io sono gay e che non ha nulla contro di me! Però ha aggiunto che noi gay ci comportiamo come una setta e che chiediamo più diritti e meno doveri della gente normale. 
Ovviamente ho chiesto la spiegazione della parola 'normale'.
Ah! È rimasto senza parole. Però io gli ho tenuto una bella lezione!
Gli ho detto che il fatto di diventare gay non è dovuto all'infanzia con i genitori separati o alla forte figura di mia madre o a qualsiasi altra stronzata freudiana. Gli ho detto che ti sposerò perché ci lega un amore platonico. Il sesso tra due maschi è espressione d'amore, di amicizia, di rispetto, di lealtà, di fiducia e dedizione. Senza interesse. Solo con un uomo puoi vivere quello che leggi nelle riviste femminili. Le donne nel sesso sono false. Lo usano per dominare e manipolare. Per loro il sesso è una categoria biologica ed economica. Sono a metà strada tra la paura della gravidanza e il desiderio di maternità. Fingono anche quando non sono tenute a farlo. Per loro l'orgasmo non è il premio, ma la promessa del premio.
A qualcuno fa senso il bacio tra due uomini. A me fa senso l'assorbente sporco di sangue e il seno grande e siliconato. Il bacio tra due uomini non è contro natura più di uno stupro, un massacro o dei campi minati o di qualsiasi altra cosa in questi fottuti Balcani eterosessuali!

Perché ci comportiamo come una setta? Perché crediamo nell'amore, nella libertà di scelta e perché accettiamo anche di essere lapidati per la nostra scelta. E chi ci perseguita di più?
Quei farisei che filtrano il moscerino e inghiottono il cammello. A vederli sembrerebbero persone giuste e oneste ma dentro sono ipocriti e peccatori. Vedono la pagliuzza nell'occhio del proprio fratello ma non vedono la trave nel loro.



lunedì 22 ottobre 2012

L'altro, che non è TE


Dal balcone riesco a vedere un pezzo di strada principale downtown e dalla finestra il viale che costeggia il fiume. Su questo viale la mattina i soldati vengono a correre.
Di più gli americani, poi gli italiani, i tedeschi, i norvegesi... Alcuni molto attraenti. 

Tu sai quanto mi eccitano le t-shirt bagnate di sudore, le collane impicciate nei peli del petto, i polpacci muscolosi e i culetti sodi.

Anche i ragazzi locali sono bellissimi, con le spalle larghe, le pelose scollature a V, le sopracciglia bellissime e i piccoli culetti a punta... 
Però faccio del mio meglio per resistere all'uso del binocolo, perché so che non può avvicinarmi la persona che vorrei vedere davvero.
TE.
(Nenad Veličković - Sahib)

Io non sono così bravo. Io non sono così capace...
Io, con l'ormone impazzito non capisco un cazzo. O forse, purtroppo, capisco solo quello.
A "resistere" io affanno.

sabato 1 settembre 2012

Non funziona il tasto "pause"

Ci sono attimi della tua vita che ti entrano dentro perchè pare che in quel momento, solo in quel momento, tu stia assaporando, non dico la felicità, ma quella sensazione di pienezza.
Vorresti fermarli, restare lì in eterno ma sai che non è possibile, non funzionerebbe. Rallentare si, ritardare, diluire, fare che quell'attimo duri di più forse ci si riesce ancora. Ma l'immobilità, quella proprio no. Ogni pienezza, per essere tale ha bisogno di trasformarsi. Così gli amori.
Stai talmente bene che pensi che quello ti possa bastare, non vorresti aggiungere uno stecchino, ne togliere una briciola. "Lasciatemi questo istante per sempre e sarò appagato". Ma è una bugia. Ci si abitua, ci si stanca anche della rosa più bella. Un amore immobile non evolve: brucia, si spegne, avvizzisce.
Ma come procedere, come coltivare quell'amore se quella perfezione hai paura di toccarla, di rovinarla, corromperla, rischiarla?

C'era quella parabola dei talenti al catechismo. Mi faceva sempre specie la durezza del padrone che toglieva il talento a chi non l'aveva saputo far fruttare. Quel poveretto non aveva rubato nulla, neppure aveva rischiato: "tu mi hai dato un talento, per paura di perderlo l'ho sotterrato ed ora, eccolo, te lo rendo così come me l'hai dato". L'ira si scatenava: "servo malvagio e fannullone..." Non la capivo proprio.

Un mese fa le confidenze di un'amica che mi racconta della separazione di una coppia, l'emblema della coppia felice, inossidabile. Banale io: "ma è perchè lui ha trovato un'altra?" Pare di no, è stato tutto uno spegnersi poco alla volta. L'abitudine... lo smettere di investire energie in un rapporto...

Oggi ancora, un'altra notizia simile, ma con una conclusione forse diversa: per salvarsi, c'è stata la scelta consapevole di rischiare, di lasciar andare, lasciar rotolare, scivolare via, una storia. La cosa più difficile da accettare: che non puoi sempre trattenere, che il tasto "pause" non può funzionare.

Ci ho pensato tutto il giorno ed è notte e ci penso ancora. Magra, grama, antipatica la vita. Ci chiede sempre le palle di rimetterci in gioco, senza mai fermarci, senza smettere, senza mai riposo.
Ci chiede anche di rinunciare a quell'unico talento, tu vivi solo di quello, rischiarlo, pur di salvarlo dalla fine dell'immobilità...

...Perché ciò che si salverà non sarà mai quel che abbiamo tenuto al riparo dai tempi, ma ciò che abbiamo lasciato mutare, perchè ridiventasse se stesso in un tempo nuovo.
(Alessandro Baricco, da “I Barbari”)


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