Alle scuole elementari, metà anni '70, la mia classe aveva come insegnante di disegno un giovane del mio paese che aveva da poco finito il liceo artistico. In affiancamento alla nostra maestra ci insegnava varie tecniche di disegno e per noi bambini era divertente colorare, una volta con le tempere, un'altra con i pastelli a cera, un'altra ancora con i colori a dita, ecc.
Ma ciò che era maggiormente divertente era lui, l'insegnante di disegno. Spontaneo, vivace e casinista quanto noi, la cosa che ci faceva divertire erano le sue mossette "da femmina", come dicevamo noi bambini. "Perchè sei come una femmina?" gli chiedevamo con quel misto di curiosità, innocenza, scherno e crudeltà che solo i bambini sanno usare. A questa domanda seguiva l'imbarazzo suo, e quello della maestra.
Credo sia stato il primo gay che ho incontrato sulla mia strada, persona gentile che raramente ora mi capita di rivedere (scappato, per sopravvivenza, dal paesello) ma che definirei, affettuosamente, col senno di adulto, la tipica checca sfranta.
Al di là della curiosità che esercitava su di noi, mi ritrovavo a farmi la domanda se lui "faceva" la donna o se "era" donna.
Da bambino, pur avendo già segnali che forse ero più interessato agli amichetti che alle amichette, questa cosa non la capivo: io non ero una femmina! Si, certe cose che agli altri maschi piacevano tanto, come picchiarsi e il gioco del calcio, a me non piacevano. Ma non mi piaceva neppure, proprio no, giocare con le bambole o disegnare tutto il giorno.
Questa domanda mi ha accompagnato fino all'adolescenza credo, pensando che i gay fossero solo gli effeminati. "Ci sono i maschi, e ci sono i meno maschi. I meno maschi sono i froci".
Qualcosa però non tornava. Forse mi piacevano gli uomini ma io ero maschio, non mi sentivo femmina per nulla. Nelle seghe in compagnia da ragazzino con gli amici, nel desiderio trattenuto di un sesso più completo, non mi sono mai immaginato nel ruolo della donna. E non solo per una questione di essere attivi o passivi.
Ma il mondo attorno raccontava che i gay erano le frociarole, le checche sfrante. Lo raccontava la gente, perchè quelli erano visibili, non si diceva che i gay sono anche i muratori, i camionisti, i direttori di banca, gli insospettabili mariti.
Tutt'ora, a livello mediatico, se in una trasmissione televisiva o radiofonica c'è un gay, si scelgono quelli che per interessi gossipari o inflessione della voce siano più identificabili come "femminili".
Sia ben chiaro, uso i termini "frociarole" o "checche sfrante" senza intenzione di giudizio. Lo uso per semplificare e rendere velocemente l'idea. Credo nella libertà di espressione della propria identità e che ciascuno possa, debba!, esprimersi come vuole, con i polsi spezzati e un tocco di rimmel, o con la canottiera e l'ascella muschiata da bear.
Questo domandarsi se i gay sono realmente "maschi" credo sia ancora presente nella percezione comune della gente. L'eco creato dal film I segreti di Brokeback Mountain forse stava proprio nella rappresentazione poco comune di due gay uomini, maschi del tutto, cow-boy: l'emblema della virilità.
Ho trovato molto bella la riflessione su queste domande "essere maschio o essere femmina" narrata nel libro
Cani randagi di Roberto Paterlini. Ve la propongo perchè attraverso queste parole vengono raccontati anche gli interrogativi che mi hanno abitato.
Per meglio comprendere il brano, specifico che gli
arrusi che troverete citati nel testo sono gli omosessuali passivi, termine usato nella Sicilia degli anni '40.
Francisa, sei proprio 'na femminiella mi ha detto lui allora, e se ne è andato, tutta indispettita quella scema.
Forse dovrei fargli vedere che invece sono un maschio, e forse dovrei farlo vedere anche a me stesso. Un giorno dovrò andare anche io con una donna, sposarla, fare con lei dei figli; sarebbe bene che mi ci preparassi.
Il corpo delle donne è così più rotondo, morbido, il seno, le gambe, il loro sesso...
Eppure non mi sento una femmina, e sono un maschio, non ne ho dubbio.
Gli altri di piazza Alcalá si sentiranno davvero tutti femmine?
Forse sono delle femmine che per sbaglio si ritrovano nel corpo di un uomo? Ma in quel caso perché nessuno prova pena o quantomeno un po' di magnanimità per delle anime così sfortunate?
Oppure, forse, si sentono femmine solo perché tutti dicono
che lo sono, e loro ci credono.
In realtà, io mi sento maschio anche quando lo prendo.
Nemmeno in quei precisi istanti riesco a pensare di essere una
donna e che un uomo stia facendo i suoi comodi con me; e non
desidero che il mio sesso sia quello di una donna, né il mio corpo, né il mio viso. Di più: non vorrei essere una donna per potere andare con gli uomini come fanno le donne. Mi piace esattamente così, andarci come ci va un altro uomo, come due
uomini.
Luigi si ferma, il torace smette di colpire le gambe piegate
contro il petto e il flusso dei suoi pensieri si arresta. Si scuote e
stira la schiena come se si fosse scontrato con qualcuno per
strada, strabuzza gli occhi e li sfrega con il dorso delle mani,
recitando lo stupore come farebbe un attore sul palcoscenico.
Gli sembra ci siano delle contraddizioni in tutto quel sistema,
ma forse anche nel modo che ha lui di analizzarlo, o nel suo
punto di osservazione, come qualcuno che non trova gli occhiali perché li ha appoggiati in testa.
Ripete con meticolosità scientifica i dati del problema: tutti
i personaggi in questione, tutti maschi, tutti che vanno con altri
maschi, eppure solo alcuni vengono considerati femmine, e
malmenati, minacciati, e a volte si fanno addirittura qualche
notte in caserma.
E quelli considerati maschi, invece? Maschi oltre a tutto,
sopra a tutto e nonostante tutto?
A loro non succede nulla e nessuno vede niente di troppo
strano - o perlomeno in qualche modo lo giustifica - nel fatto
che esercitino la loro mascolinità con altri maschi, ma... Nel
loro intimo, in quello strato nascosto della coscienza in cui è impossibile mentire a se stessi, andranno davvero con gli arrusi
solo perché di donne non ce ne sono? Possibile che per loro non
faccia nessuna differenza quando per me la differenza è così
enorme?
Forse è così. Forse io non lo riesco a capire perché non sono
come loro, e sto cercando un paio di occhiali che non ho mai
comperato perché nessun medico me li ha mai prescritti. Ma
forse non è così. Forse quegli uomini preferiscono, in realtà,
andare con altri uomini, e quindi sono le donne, le capre e le
vacche i loro diversivi. Potrebbe essere?
Luigi si rassegna a non poter trovare risposte certe a quelle
domande, sforzandosi di non pensarci più. Gioca con la sabbia,
infila le dita sotto terra sino al punto in cui diventa dura e impenetrabile. Poi si sdraia e guarda il cielo che sta diventando sempre più scuro, e le stelle che si dispongono ognuna al proprio
posto del reticolato, su strati e altezze diverse.
[...]
Sei tu?
Certo che sono io. Chi altro aspettavi? risponde Franco
scherzoso, ancora senza mostrarsi.
Credevo ti fossi dimenticato, dice Luigi come per accusarlo.
Mi sono mai dimenticato?
No, ma...
Ho solo fatto fatica a trovarti. Non si vede niente.
I loro corpi si avvicinano e toccano, e loro due subito si
baciano. Luigi annusa l'odore della pelle di Franco pulita dal
mare, le spalle e il torace, spaziosi, rassicuranti, difficili da
lasciar andare.
Fermo, fermo, dice Franco. Guarda prima cosa ti ho portato.
E un regalo tutto per lui, un cannolo bene avvolto in un pezzo di carta marrone e vagamente macchiata dall'unto dell'impasto.
Luigi lo libera con entusiasmo e lo guarda come un gioiello
prezioso.
E per te? Non ne hai preso uno anche per te?
Avevo solo venti centesimi. Ma è una menzogna, Franco ha
già mangiato il suo dolce lungo la strada prima di arrivare. Ho
pensato prima a te.
Allora facciamo metà ciascuno. Luigi si sente lusingato e già
sta dividendo il cannolo con le dita, bene attento a che nemmeno una briciola ne cada a terra. Poi porge la prima e più
abbondante porzione tra le mani di Franco.
Grazie, bella.
Non dirmi bella, io non sono una femmina, risponde stizzito lui, girandosi verso il mare e l'orizzonte. In quel momento sa
di comportarsi proprio come una donna, anzi una bambina,
ma è più forte di lui, non può farne a meno.
Scusami, scusami. Credevo ti facesse piacere che te lo dicessi, si difende Franco alzando le braccia al cielo come di fronte
a un fucile, avvicinandosi a lui, baciandolo sulla guancia e poi
lungo il collo, accarezzandogli la pancia calda sotto la camicia
sbottonata. Che ti trattassi come la mia ragazza...
Luigi non sa cosa rispondere. E gli fa effettivamente piacere - in quella botola della coscienza nella quale nemmeno lui
riesce a mentirsi - essere trattato come la sua ragazza, godersi le premure e i piccoli regali, anche se insignificanti come un
cannolo.
Se ti dispiace davvero, questa volta il maschio lascialo fare a
me, gli dice comunque, divincolandosi di nuovo dalle sue carezze, muovendosi al buio verso il mare sino a sentire l'acqua sfioragli le dita dei piedi.
Ma sei diventato matto? Franco sembra persino divertito,
come se Luigi gli avesse chiesto di volare o trasformarsi in una
figura mitologica per dimostragli il suo amore.
Perché? gli chiede Luigi.
E infatti, perché? chiede anche a se stesso. Perché è da pazzi pensarlo e chiederlo? Sono due maschi entrambi: è cosi fuori luogo pensare che possano scambiarsi lo stesso ruolo? E' solo
un ruolo. Se non fossero nati e cresciuti a Catania, e l'arvulu rossu e la parola arrusu non esistessero, sembrerebbe ancora così assurdo che per una volta gli stessi personaggi venissero interpretati da attori diversi?
Certamente no.
Perché? si sta domandando lo stesso Franco. In realtà più di
una volta ha riflettuto sull'opportunità di provarci, e poi si è
trattenuto dal chiederlo solo per timore e vergogna, e perché
non voleva che tutti lo chiamassero arrusu.
Certo, con Luigi sarebbe diverso: resterebbe tra loro, su
questo non ha dubbi, ma forse dopo lui smetterebbe di vederlo
come un maschio e non vorrebbe più starci assieme. Oppure
starci sempre in quel modo.
Sarebbe doloroso? dubita poi. Al di là del dolore, umiliante? Certo, se riesce a immaginare che il resto del mondo non
esiste, anche l'umiliazione sparisce. Ma il resto del mondo c'è.
Non lo so, dice infine. Ma io sono maschio. Non c'è bisogno
di essere ragionevole su una questione del genere, pensa. E per
quale motivo in fin dei conti? Per una parola sbagliata? Anzi,
una lettera?
Anche io sono maschio, e lo sono sempre stato, anche quando lo prendevo. Anche quando lo prendo, lo incalza Luigi.
I maschi non lo prendono. Le femmine lo prendono.
Allora io sarei una femmina? Mi hai mai visto con il rossetto o con la gonna? Credi che possa partorire un figlio? Credi
che le femmine abbiano questo? gli dice stringendosi con forza
la patta.
No. No... Certo. Dai. non litighiamo, gli risponde Franco,
davvero incapace di ribattere.
I maschi lo mettono e le femmine lo prendono: perché Luigi la sta facendo tanto lunga? Lui è un maschio, non gli interessa prenderlo.
Lo bacia, stringendolo forte.
Luigi pensa che effettivamente non gli importa, che se lo
facesse sarebbe solo per dimostrare di essere un maschio per
davvero; ma in fin dei conti, dimostrarlo a chi?
Non agli altri. Non in una cabina nascosta sulla spiaggia e
senza comunque poterlo o volerlo dire a nessuno.
A sé stesso?
O solo a Franco?
Forse sì, ma pensa che lui comunque non lo capirebbe, o
almeno non del tutto. Franco non si è sicuramente mai posto
quelle domande come tutti i maschi non è tipo da chiedersi certe cose, e in questa strategia sta probabilmente il segreto
della sua serenità.
A cosa pensi? gli chiede il figlio del sarto Fanucci appoggiandogli un braccio attorno alle spalle, e mettendosi a esplorare l'orizzonte alla ricerca di quelle stesse cose invisibili che
anche Luigi sembra non trovare.
Non lo so.
E se invece lo volesse semplicemente sperimentare? Se non
avesse significato o giustificazione e non servisse a dimostrare
nulla a nessuno? Se fosse solo un istinto, anche per lui?
Avrebbe meno senso?
Immagina di no. Non ci sarebbe comunque nulla di male. E
Franco dovrebbe capirlo ed essergli complice. Se davvero tenesse a lui e lo considerasse più di un semplice arrusu, dovrebbe
assecondarlo.
Ma se invece non lo facesse?
A questo punto lo dovrebbe lasciare.
Forse è per questo che si sentiva così agitato prima che si
vedessero: sapeva che qualcosa sarebbe accaduto e che avrebbero litigato, forse per sempre.
Ma lo potrebbe davvero lasciare per una stupidaggine del
genero?
Si pente di avergli fatto quella domanda, di essersi messo
nella situazione in cui otterrà esattamente ciò che vuole, come
un despota irragionevole, o lo dovrà lasciare e perdere. Ora, la
sua stessa posizione gli sembra insensata e rigida.
Anche Franco è perplesso, Guarda Luigi e stanno in silenzio per qualche secondo, mentre l'unico rumore che li accompagna è quello quasi impercettibile delle onde che lambiscono
la riva.
Pensa, teme, che forse Luigi sia cambiato o stia cambiando.
Non si era mai posto il problema di dare un nome al suo ruolo, l'aveva conosciuto come un arrusu e forse dentro di sé aveva
continuato a considerarlo così.
E' solo un arrusu?
E se andasse con un altro?
No, no.
Fa male prenderlo? gli chiede con un filo di voce.
Certe volte, non sempre.
Che ci stia pensando davvero? si chiede Luigi. Se Franco
accettasse, lui lo vorrebbe fare sul serio?
E va bene, dice Franco all'improvviso. Questa volta mettimelo tu.
Davvero?
Davvero... Però non capiterà tutte le volte.
Non voglio
diventare una femmina nemmeno io.
Luigi sorride timoroso. Vorrebbe spiegargli che non lo
sarebbe comunque, che gli arrusi non sono femmine. Ma per
Franco sarà un obbligo, una violenza? si chiede invece. Nel suo
essere così semplice e solido, come un grande tavolo di rovere,
lo accetta solo per accontentarmi?
Invidia il suo filtrare tutto attraverso la generosità e la gentilezza. Pensa sia il ragazzo più buono che conosce, forse il
migliore del mondo, e che forse lo ama davvero.
Lo abbraccia e si baciano, sdraiandosi nella sabbia. Luigi gli
trova un filo nei capelli, un residuo del lavoro sopravvissuto al
mare, e stando bene attento a non strappargliene nemmeno
uno, lo districa e lo guarda - lo immagina, in realtà, al buio
sentendo nei confronti di Franco una tenerezza smisurata. Invidia quel filo, la possibilità che ha avuto di passare con lui tutta
la giornata alla luce del sole, e improvvisamente la paura di prima scompare.
Nessuno lo saprà mai e accadrà solo quella volta. Lo faranno in quel modo nuovo perché così anche lui diventerà come
un filo, sarà nascosto dentro al corpo di Franco in ogni momento, esattamente come Franco è nel suo, invisibile ma costantemente vicino e presente.
(Roberto Paterlini - Cani Randagi)