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domenica 5 maggio 2013

5 maggio. Freezer

 
Era il 5 maggio di 4 anni fa ed ero da poco rientrato dal mio primo viaggio a New York.
Una voglia di libertà che quella città mi aveva piantato dentro al petto, come una picconata in una diga e che puoi solo cercare di rappezzare goffamente senza di fatto riuscirci.
Il bisogno di sfogo e prendere in mano la mia vita. La mia vita affettiva e sessuale.

Per il resto della mia esistenza mi ero già portato abbastanza avanti. Esperienze, decisioni, fatiche, prese di posizione, iniziative, sofferenze, gioie, schiaffi in faccia. Una vita normale la mia, senza grossi colpi di testa; soddisfazioni ed errori, vittorie e sconfitte, come tutti. A fare un bilancio, forse non mi sono poi così tanto "lasciato vivere" come spesso mi sembra: quando è stato il momento, pur col mio stile discreto, le mie scelte le ho fatte e le ho vissute.


Non invece per quanto riguardava la mia dimensione affettiva.
39 anni di castrazione.
A nascondere la mia omosessualità, a me stesso! L'armadio nell'armadio. Ma verso i 35 anni l'inizio della resa, non col mondo, ma con la mia persona: chiaro, limpido, non ci scappo più, me ne faccio una ragione: sono gay (già lo sapevo) e vivrò un'affettività da gay, quella che mi appartiene, che mi è stata data,per cui sono stato chiamato al mondo.
Ma comunque, tra la fase di accettazione e la mia libertà, la strada da fare era ancora tanta e tutt'ora, il cammino non finisce.
Così arrivano i 39 anni e poi quel 5 maggio 2009 e quel viaggio a New York che porta a tratti la sensazione di esplodere. Da tutto questo nasce l'idea di DOVERMI raccontare per "respirare" e di conseguenza questo blog.
Per mesi ignorato dalla rete, non mi importava. L'importante all'inizio era scrivere il mio diario, non che venisse letto. Poi, poco alla volta, arrivano i contatti, i commenti di altri lettori e l'aprirsi delle mie parole agli altri con il confronto, con lo sfogo o le semplici risate o ancora con la condivisione delle "pruderie". I lettori, a quel punto diventano un punto imprescindibile di questa esperienza.

In questi 4 anni di blog si mette in atto anche il mio cambiamento, ed è terapeutico! Scrivere ciò che sono è diventato quasi come dirlo ad alta voce. E quando lo dici, tutto inizia a cambiare.
La mia vita affettiva e sessuale comincia a prendere una piega diversa, non limitata alle sole fantasie.
Poi la storia con L. dalla quale ci sta volendo molto tempo per "uscirne sano" ora che è finita. Felicità e ferite al cuore.

Forse è venuto il tempo di un altro cambiamento. Dico forse perchè non ne son tanto sicuro. E perchè se c'è una cosa che ho capito è che neppure le scelte, nella vita, sono sempre del tutto definitive.
Ma lo spazio di questo blog che tanto amo, forse, appunto, non è più necessaria.

Così uso l'anniversario di questi 4 anni per pensare ad una pausa. Non so se chiudere il blog definitivamente o se riprenderlo poi. Per ora congelo tutto e lo metto in freezer. Che sia per qualche giorno, settimana o qualche mese, o che sia una chiusura definitiva... Chissà.

(In)consapevole comunque non sparisce: pur congelando il blog e la condivisione di tutto ciò che è stato così personale (mi sono raccontato/sputtanato parecchio) foto e pruderie varie continuano nel mio cassetto di appunti; le mie parole e le interazioni proseguono in twitter.
Non è insomma un "5 maggio" alla Napoleone. Non si dica "Ei fu..." anche per me.

Ma se iniziare un blog ha innescato cambiamenti chissà che sospenderlo non ne porti altri. E' il desiderio e la speranza che mi porto dentro ora, perchè ho bisogno di passi nuovi.
Grazie a tutti. Di cuore.
(In)consapevole





domenica 21 aprile 2013

Il pericoloso piacere delle vite spiate e della scrittura


Quando tutto gira intorno al piacere del racconto delle vite degli altri. Il piacere voyeuristico dell'entrare di nascosto in altre storie e lasciarsele raccontare. Appassionarsi alle vicende, far crescere la curiosità, interrogarsi sul seguito, voler interagire seppure da esterno.
E' il tema del film "Nella Casa" che ho visto ieri sera al cinema, film che mi ha stupito e appassionato. E' un racconto che sta a metà tra un thriller e una commedia alla Woody Allen. Si sorride e si rimane spesso in sospensione, in attesa di un evento drammatico che sembra sempre imminente.
Un film che parte all'inizio di un anno scolastico dove un professore di lettere si appassiona ai temi a puntate di un alunno dal presente oscuro. Temi che raccontano in modo minuzioso e coinvolgente le visite presso la casa di un compagno di classe.
Il professore partirà dalla voglia di far emergere il naturale talento narrativo del ragazzo dandogli lezioni private di scrittura, ma userà lo studente per assecondare i suoi piaceri da voyeur. Il ragazzo da parte sua, sarà un abile manipolatore della vita del professore.

Non vado altro, ma ve lo consiglio, come film davvero piacevole e appassionante... che mi ha anche portato a una riflessione sul mio blog dove si intrecciano pruderie e racconti personali, che mi ha fatto chiedere dove, ciò che racconto, mi ha portato o mi sta portando, visto che come nel film, lo scritto interagisce poi con l'agito della mia quotidianità.
Una riflessione che mi ha fatto pensare a quanto il voyeurismo e la scrittura abbiano in comune due caratteristiche: essere pericolose e al tempo stesso essere entrambe creative.




martedì 26 marzo 2013

La 99ma notte

Merda di una malinconia. Ogni volta che c'è un desiderio irrealizzato o un amore impossibile, ogni volta che c'è una sconfitta che venga dal di fuori o nasca da te, io mi ritrovo col groppo in gola. E' il mio punto debole.


Una volta un re fece una festa e c'erano le principesse più belle del regno. 
Ma un soldato che faceva la guardia vide passare la figlia del re. Era la più bella di tutte e se ne innamorò subito. Ma che poteva fare un povero soldato a paragone con la figlia del re! 
Basta! Finalmente, un giorno riuscì a incontrarla e ce disse che non poteva più vivere senza di lei. E la principessa fu così impressionata del suo forte sentimento che ci disse al soldato: "Se saprai aspettare cento giorni e cento notti sotto il mio balcone, alla fine, io sarò tua!"
Minchia, subito il soldato se ne andò là e aspettò un giorno, due giorni e dieci e poi venti. 
Ogni sera la principessa controllava dalla finestra ma quello non si muoveva mai. Con la pioggia, con il vento, con la neve era sempre là. Gli uccelli ci cacavano in testa e le api se lo mangiavano vivo ma lui non si muoveva. Dopo novanta notti era diventato tutto secco, bianco e ci scendevano le lacrime dagli occhi e non poteva trattenerle ché non aveva più la forza manco per dormire... mentre la principessa sempre che lo guardava. 
E arrivati alla novantanovesima notte il soldato si alzò, si prese la sedia e se ne andò via
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Ora ho capito perché il soldato andò via proprio alla fine. Sì, bastava un'altra notte e la principessa sarebbe stata sua. Ma lei poteva anche non mantenere la sua promessa. Sarebbe stato terribile. Sarebbe morto. Così invece, almeno per novantanove notti, era vissuto nell'illusione che lei fosse lì ad aspettarlo.


Certe attese sfiniscono, certe sconfitte devastano.
Speri solo in un abbraccio che ti salvi


[da Nuovo Cinema Paradiso]

giovedì 10 gennaio 2013

Del blog

Sono alcuni mesi, dal luglio scorso almeno, che mi domando quale senso abbia per me continuare a mantenere vivo questo blog. Le motivazioni che mi avevano spinto ad aprirlo stanno lasciando spazio ad altro nella mia vita.
C'era dapprincipio il bisogno di sfogarmi, il bisogno di raccontarmi e "sputtanandomi" conoscermi, per respirare quella libertà di chi esprime tutto, senza pudori, scrivendo ciò che nella mia vita non riesco a dire.
C'era il bisogno di confronto con esperienze "altre" legate all'omosessualità.
C'era il bisogno di compagnia. Compagnia virtuale che è arrivata in abbondanza, oltre ogni più rosea aspettativa, tra i commentatori del blog e in chi mi scrive privatamente.

Portare avanti un blog poi, questo blog, era anche un piacevole passatempo: pensare a cosa scrivere, selezionare il materiale fotografico e video, mi aiutava a riempire un po' delle mie serate solitarie. Sapere poi che dall'altra parte dello schermo c'è anche chi attende con curiosità, diventa fonte di soddisfazione e gratificazione personale.

Ma come dicevo, già la scorsa estate alcuni di questi aspetti venivano meno. Il bisogno di raccontarsi sta lasciando spazio ad un altro di maggior intimità. Il bisogno di ritornare "a lavorar la vita", in questo armadio che ormai ha imparato a trovare alcune uscite secondarie, e ritrovare una mia nuova privacy.

Ad agosto la decisione di chiudere sembrava imminente. Solo l'insistenza di L. ha fatto si che continuassi. Per rimandare la chiusura a Natale quando ormai mi era chiaro di voler terminare questa bella esperienza.

Poi il sentore che tra me e L. qualcosa stava cambiando e la paura, si la paura, di ritrovarmi solo. Senza neanche più uno spazio dove sfogarmi, dove sentirmi in contatto con gli altri e anche un po' coccolato (a proposito di coccole: grazie a tutti per le vostre manifestazioni d'affetto) e così ho temporeggiato.

Il blog è stato sempre argomento presente tra noi due. Anche domenica sera, uscendo dalla camera d'albergo, quando il quadro era ormai caduto, ho detto a L.: "credo proprio che NON sia questo il momento giusto per chiudere il blog" e lunedì mattina chiedergli ancora "cosa e come raccontare di noi?".

"Non saprei....sono sicuro che deciderai per il meglio", è stata la sua risposta.
Mai ha messo bocca su cosa andavo a scrivere di noi, ne avrebbe avuto anche il diritto visto che riguardava anche lui. Un po' per rispetto verso di me, un po' perchè anche a lui andava bene così. Quello che scrivevo esponeva anche lui ma era anche un modo per aprire uno spiraglio dal suo armadio e questa cosa lo gratificava.

Non so quanto e cosa scriverò nei prossimi post. C'è il rischio che ne venga fuori una lagna depressiva oppure quello di fingere una normalità che non c'è, solo perchè si "deve continuare". The show must go on?
Andrò a ispirazione personale, tutta mia, secondo il momento, in questa fase dove i miei vissuti hanno bisogno di essere riletti e lasciati decantare.
Probabilmente ne verranno fuori risultati schizofrenici, tutte le mie contraddizioni: pensieri intimistici e spudorate voglie di cazzo.
pensieri intimistici...
...e spudorate voglie di cazzo
Ancora per un po' mi farò compagnia con il tempo che impiegherò a scrivere e con la vicinanza di chi continuerà a seguirmi.
Quando qualcosa cambierà, vedrò di salutare e ringraziarvi.

Intanto un coup de théâtre, tanto per esagerare...

giovedì 27 dicembre 2012

La finestra di dentro

Dev'essere bello potere crescere quell'amore che all'inizio era solo passione, aiutarlo a cambiare, proteggerlo dal passare del tempo... 

Questa frase mi ha colpito particolarmente, la sera di Natale, mentre ridavano in tv "La finestra di fronte". Una frase che ho sentito il bisogno di twittare istantaneamente in quel momento.

Un Natale che è passato nel modo più classico e tradizionale, serenamente, ma che mi portava dentro una domanda, già da qualche giorno.
Con L. mi sono visto il sabato precedente al Natale. E' un periodo faticoso per lui, più del solito e io arrivavo a quell'incontro preoccupato di non sapere e non capire molto del suo malessere, che i tentativi di comprendere in quei giorni non hanno avuto risposta.
Poi la serata è stata focosa e l'abbraccio e l'amore di quella sera è stato un riprendersi e ritrovarsi senza usar troppe parole.

Ma a Natale, e soprattutto la vigilia, quella domanda forte, quella sensazione di qualcosa che ti sta sfuggendo, che non capisci del tutto e la paura a dirsi: qualcosa sta cambiando? E così che quella frase, sentita altre volte, stavolta è diventata mia.
Gliene ho parlato stasera al telefono, di quella frase e del "cosa stiamo vivendo".

Due anni, il tempo e la distanza, la conoscenza e l'abitudine. Un amore deve necessariamente cambiare, andare oltre la passione. Sento che è così anche per noi. Una passione che ancora ci appartiene prepotente nel momento in cui siamo insieme ma anche un vissuto diverso, forse più fragile, nei momenti di distanza.

Da lì il mio interrogativo: i nostri vissuti ancora collimano o stanno cambiando? Questo cambiamento è una trasformazione verso passi nuovi o l'inizio di diversi cammini? E poi, la parte finale della citazione dal film: come proteggere questo amore dal passare del tempo?
Come?

Dev'essere bello potere crescere quell'amore
Si... dev'essere proprio bello...
 

lunedì 5 novembre 2012

Solitudini particolari

Essere…come sono io, non significa non poter fare l'amore con una donna. È diverso. È stato bello…ma non cambia niente…
Quanto si riusciva a raccontare di uomini omosessuali nell'Italia del 1977?
In quell'Italia che solo 3 anni prima si era espressa con un referendum sul divorzio e che ancora non aveva una legge sull'interruzione volontaria della gravidanza? Un Italia dove solo pochi mesi prima uno come Pier Paolo Pasolini veniva brutalmente ucciso su una spiaggia romana, forse proprio da un suo "ragazzo di vita" o forse dai servizi segreti in quanto scomodo?

Nel 1977 io avevo solo 7 anni.
Ricordo i discorsi sul divorzio, e pure quelli sull'aborto. Non ci capivo nulla ma  li ricordo. Ma di certe altre cose, in casa mia, non se ne parlava. Tantomeno di certi "vizi" non si discuteva in presenza di un bambino. E così quel film "particolare" mi sfuggì.


Ettore Scola fu coraggioso a fare un film del genere. Un film che raccontava di cosa significasse essere omosessuale negli anni fascisti (ma l'Italia machista non era molto cambiata e lo sfondo culturale era molto simile), dove anche il solo essere single era un fatto quasi da punire (ho scoperto solo grazie a questo film che esisteva addirittura una Tassa sul celibato)
Bene, quel film l'ho visto per caso, per la prima volta, la scorsa settimana.
Su Tv2000. Una rete da cui t'aspetti le fiction su Mosè o San Giovanni Bosco ma non un ritratto così tenero e attento sulla condizione omosessuale.

Insomma, è un film, ma potrebbe essere un'opera teatrale perchè tutto si svolge in un condominio e i protagonisti sono solo due: Marcello Mastroianni e Sophia Loren.
Quei due insieme ne hanno girate di pellicole; la gente accorreva a vederli al cinema. E così immagino corsero pure a vedere questo film, trovandosi per una volta spiazzati da un racconto che sconvolgeva tutti i clichè fino ad allora visti. Mastroianni fu coraggioso nell'accettare quel ruolo.

Il titolo del film: UNA GIORNATA PARTICOLARE.
Si, perchè il film narra dell'incontro/scontro tra Mastroianni, presentatore radiofonico dell'EIAR (la vecchia Rai) licenziato in quanto gay e in attesa di partire per il confino, e la Loren, madre di 6 figli, tutti balilla e con il marito impegnato nel fascio. Il tutto accade il 6 maggio 1938, nella giornata in cui Hitler è in visita a Roma, una "giornata particolare" per la nazione e per i due condomini.
Sarà uno scontro di visioni ma anche l'incontro di due solitudini.
I dialoghi in quel film sono molto intensi e devo ammettere che Mastroianni mi ha pure portato ad avere qualche luccicone quando viene "testata" la sua mascolinità.
Da rivedere, in qualche ennesimo passaggio televisivo, oppure in dvd reperibile qui.


Mastroianni al telefono col suo amato:
Eppure ci dovrei essere abituato, fin da ragazzo, o isolato o solo! Che poi... è la stessa cosa. Ma certo che conti! Solo che è tutto così assurdo. Secondo loro dovremmo sentirci in colpa. Oggi stavo... come si dice... stavo per commettere una sciocchezza. Mi ha salvato l'arrivo di una che abita qui vicino. No, è sicuro, la vita, qualunque sia, vale la pena di essere vissuta, si dice così. E poi arriva sempre un pappagalletto a ricordarcelo. Solo che oggi per me è una giornata particolare, lo sai? È come in un sogno quando... quando vuoi gridare e non ci riesci perché ti manca il respiro! Però ho voglia di parlare! Parlare! Parlare! Te ne accorgi vero? Oppure che ti devo dire? Scendere nella strada, fermare il primo sconosciuto e raccontargli tutti i fatti miei, ma fino a spaventarlo! A scandalizzarlo! A menargli, sì!, a fargli del male! Qualunque cosa, piuttosto che stare solo in questa casa che odio. Non dici niente? Pronto? Marco! E parla, cazzo! Ma di' qualcosa! Ma quello che vuoi... non lo so, parla del tempo, di sport, di un libro che stai leggendo! ...scusami. Sì, lo so quello che senti anche tu. No, no... lo sai che non possiamo vederci. E poi, forse sarebbe anche peggio. Senti, quando si è scoraggiati bisogna trovare la forza di reagire, e subito, se no... non c'è niente da fare e sei fregato! Capisci? ...senti! Perché non ci ridiamo sopra? Eh? Senti... piangere si può fare anche da soli, ma ridere bisogna essere in due! Ti ricordi quella volta a Ostia con quello lì del cocomero? Ma ridi, Marco, ti prego, ridi! ...che amico triste mi sono scelto. Sai cos'è che mi peserà di più? La tua mancanza. Curati. Fammi sapere della tua salute. Sì, appena succede ti richiamo. Ciao. Pensami quando vuoi.

sabato 3 novembre 2012

Nutrito da un immaginario porco

Il mio pisello barzotto in palestra. Un po' imbarazzato, un po' sfrontato come sono diventato io.
Il mio pisello che aveva ormai imparato a starsene quatto quatto nei momenti di nudità collettiva, ad esempio negli spogliatoi, e che invece ieri s'è ribellato.
Perchè? Ecco il misfatto.

Bisogna partire dal post del blog di Lord dove vengo a conoscenza della web-serie Hunting Season, una specie di Queer as Folk in cui i nudi integrali vengono abbondantemente elargiti (qui da lui trovate tutti i dettagli).
Mi incuriosisce, mi metto a cercarla in rete e qualcosa trovo (sempre tramite le indicazioni date nei commenti a quel suo post). In pausa pranzo mi guardo i primi 4 minuti dell'episodio che apre la serie e che... wow, mi sconvolge.
Si mi sconvolge perchè in 4 minuti c'è un condensato di piaceri, di immaginario di goduria e felicità, che da sempre mi abitano:
- l'ambientazione, tanto per iniziare: la città di New York. New York che è stato un bel viaggio, rivelatore e folgorante per me, nel 2009 e che mi ha dato il "la" per aprire il blog (il mio primissimo post, un (In)consapevole ancora intimidito fu proprio "Ormoni a New York");
- la goduria che mi dette il vedere un ammasso di corpi seminudi in Central Park, in una delle prime giornate primaverili (datemi pettorali e addominali definiti, e la mia "leva" vi solleverà il mondo);
- la mia passione sfrenata per i pacchi gonfi, soprattutto quando emergono dalle tute;
- il sesso easy, il facile rimorchio, l'idea del semplice occhiolino per trovarsi in casa di un altro a scopare. Quella facilità irreale che tanto intriga.

Ma giusto per capirci e per spiegare meglio cosa intendo: dovete prima vedere questi 4 minuti che aprono la serie. Tenetevi saldi che poi continuo il racconto.

Non so cosa ne pensiate voi ma per me questi 4 minuti sono stati una bomba. Di ormoni. Comunque sia, pregustandomi di vedere il resto della serie (che ancora non ho, solo i primi due episodi), vado al lavoro e poi, in palestra.
Serata normale, faccio il mio allenamento e come sempre alla fine mi butto sul tapis-roulant per la mia mezz'ora di corsa. Visto che ho saltato un po' di allenamenti causa malanni stagionali ieri ci do parecchio dentro con la corsa, poi, sudato e spossato vado in spogliatoio.
Ora, io non so che mi accade (anzi lo so, mi son tornati in mente proprio quei 4 minuti di video), ma se di solito dopo la spossatezza post-corsa il mio pisello se ne sta bello quatto quatto, ieri sento che, proprio mentre mi devo spogliare, lui ha un guizzo di vigore. C'è un bel giovane in quel momento nello spogliatoio, un ragazzotto taciturno, e non esito comunque a spogliarmi subito per indossare poi il costume (mi attendeva il bagno turco) ben sapendo che il "risveglio" è ben visibile.
In effetti, scorgo gli occhi del giovane, che di sottecchi allunga lo sguardo. Son subito "costumato", mi metto l'accappatoio e vado nel bagno turco.

Di ritorno dal bagno umido lo spogliatoio è deserto. Io sono tranquillo e a riposo e me ne vado a far la doccia, prima fresca per riprendermi dal calore che ho inglobato, poi, shampoo e sapone per una doccia calda. Mentre l'acqua scroscia su di me, mentre mi lavo per bene, mentre il totale relax si è preso il mio corpo ecco ancora quei pensieri sul video. Di nuovo il cazzo barzotto, poco importerebbe, ma in quel mentre arriva in doccia, e manco lo avevo sentito arrivare, un frequentatore della palestra, 45-50enne, poco simpatico ma tanto muscoloso, tonico e ben dotato. Di questo tipo so poco. A parte lo scambio di saluti di cortesia non ci ho mai parlato. Ho capito però che è divorziato e noto che predilige la frequentazione in sala pesi di alcuni soggetti, diciamo "metrosexual". Il mio gaydar da sempre mi ha segnalato in lui qualcosa di "fraterno" ma prove non ne ho.
Fatto sta che entra e s'accorge subito del mio imbarzottimento. Io fingo di nulla, e mi paro dalla sua vista volgendogli le spalle, poi però decido di esibirmi e consapevole del suo sguardo sul mio gingillo mi lavo full-frontal a lui.

Parte il film.
Come nel video, nel nostro immaginario lui dovrebbe accorgersi del mio chiaro segnale. Lui dovrebbe capire nel mio imbarzottimento l'evidenza di una provocazione da cogliere. E così dovrebbe scambiare un sorriso, strofinare il suo cazzo, ammiccare ed avvicinarsi.
Così io mi giro di nuovo di spalle, gli offro la possibilità di non dovermi guardare negli occhi, di cogliermi di sorpresa...
...
Lo sento vicino ora, dietro di me e mi accarezza la schiena. Poi affonda una mano sul mio sedere e l'altra ad aggrapparsi al mio cazzo. Mi gira, mi guarda e s'abbassa verso il pene. Sotto i getti caldi dell'acqua ingoia il mio cazzo totalmente. Con l'altra mano, inginocchiato si masturba...


...
...Niente da fare. Non va così.
Mi riprendo dall'immaginazione, mi giro di nuovo ma lui non è li vicino a me. Lui non è inginocchiato a pomparmi. Lui è ancora sotto la sua doccia, distante. Io sono ancora fieramente barzotto, l'unica cosa che noto è che barzotto lo è anche lui. Chissà...

Ma certe situazioni nella mia realtà non capitano. Gli "immaginari porci" capitano solo nei video, nelle vite degli altri... oppure a New York.

sabato 15 settembre 2012

Non ti hanno detto come lavoro?

La situazione è sì imbarazzante. Quando ci sono incomprensioni, quando non collimano le aspettative. Mi fa venire in mente la vicenda contraria di un massaggiatore che si pubblicizzava come "massaggiatore professionale senza doppi fini" e si lamentava che invece riceveva solo proposte come escort. Non dev'essere gradevole. Ma anche lui, insomma, si andava a proporre (e a lamentarsi) nel suo profilo in un sito dating gay, dichiarandosi gay. Beh... è un po' come andarsele a cercare. O sotto sotto era quel che voleva?

Comunque, rispetto al video che vi posto, io quel massaggiatore non l'avrei sprecato e forse anche a lui spiace di essersi perso un cliente così.


Dal film Somewhere

lunedì 23 luglio 2012

Rivendicazioni



Indovina chi viene a cena? è un film del 1967. Katharine Houghton interpreta una ragazza bianca che decide di presentare ai genitori (Spencer Tracy e Katharine Hepburn) il suo nuovo fidanzato (Sidney Poitier), un giovane medico afroamericano.
All’epoca i matrimoni misti erano ancora vietati in diciassette stati americani. In futuro il fatto che oggi due persone dello stesso sesso non possano sposarsi e avere dei figli ci sembrerà assurdo esattamente come ora ci sembra inconcepibile che negli anni sessanta non potessero sposarsi due persone con il colore della pelle diverso.
Il dibattito di questi giorni all’interno del Partito democratico è imbarazzante. Intanto perché non si discute di matrimoni gay, bensì di semplici unioni: è un dibattito che sarebbe povero perfino se fosse tra destra e sinistra. Invece è tutto interno al partito che per primo dovrebbe tutelare i diritti delle minoranze.
Ma il dibattito è imbarazzante anche perché dimostra una volta di più lo scollamento con la società civile. La scorsa settimana il magazine popolare Oggi aveva in copertina Francesca Vecchioni, figlia del cantante Roberto, fotografata con la compagna e le loro due gemelle. Il titolo era: “Noi siamo una famiglia”.
Mentre il Partito democratico si accapiglia sulle virgole di un documento che deve stabilire se pronunciarsi o meno a favore del riconoscimento delle semplici unioni civili tra persone dello stesso sesso, in Italia le persone parlano dei figli delle coppie omosessuali, cioè di qualcosa che non solo dà per scontata l’esistenza delle coppie gay, ma ne riconosce anche il diritto a procreare. Nessuno chiede a Rosy Bindi di cambiare la sua idea di famiglia, ma solo di lasciare che altri possano averne una diversa.
Giovanni De Mauro, Internazionale, numero 958, 20 luglio 2012


Sono due gli stimoli che in questi giorni mi hanno spinto ad accostare il tema delle rivendicazioni del movimento GLBT a quelle legate ai temi razziali. Il primo mi è stato suggerito direttamente da questo articolo che mi son ritrovato tra le mani sabato e che vi ho riproposto, il secondo è stata la visione del film THE HELP; nell'assonnata giornata domenicale, in panciolle sul divano a ricaricar le pile dopo la serata con l'amore mio.

THE HELP racconta della presa di coscienza delle donne di colore, nell'america degli anni '60, quando il movimento di Martin Luther King iniziava a nascere. E' proprio in quel contesto, nel Mississipi, lo stato più razzista degli States, che una ragazza bianca progressista convince delle donne di colore a scrivere un libro, in forma anonima, che metterà in imbarazzo le loro "padrone" e che evidenzierà le ingiustizie e i soprusi. Nel film vi sono alcuni passi, alcune prese di coscienza, alcuni pensieri, che potrebbero essere traslitterati per ogni causa di ingiustizia che voglia essere combattuta, compresa la causa del riconoscimento dei diritti gay.
Essere se stessi, fare la verità, lavorare affinchè la verità sia visibile, rivendicare il proprio posto nel mondo, rivendicare la normalità che gli altri non vedono per paura e pregiudizio.
Il film è godibilissimo, commedia e dramma allo stesso tempo. Vi lascio il trailer.
"Nessuno mi aveva mai chiesto cosa provavo ad essere me stessa. Quando ho detto la verità mi sono sentita libera."

sabato 21 luglio 2012

Quando il sesso ti devasta

Le pulsioni ingestibili.
Il bisogno di sfogarsi.
Ma anche il bisogno di personificare il sesso agito, in un rapporto, in una persona che conosci, che ti conosce.
Stasera vedrò L. e soddisferemo il bisogno di cavalcata che ho raccontato nel post precedente. Ma c'è anche il bisogno di ritrovarsi negli occhi dell'altro, nei pensieri dell'altro. Non si spiegherebbero altrimenti, per solo sesso, le lunghe telefonate, gli sms, i tentativi pur nella distanza, di "partecipare" alla vita dell'altro.

Ho rivisto Shame, il film di cui vi avevo già espresso alcune mie riflessioni nel post "La vergogna è la solitudine" e l'ho ritrovato ancora efficace e sconvolgente.

Il sesso raccontato quando passa dal piacere alla dipendenza, quando diventa esperienza devastante.
Magistrali i primi 7 minuti del film, che condivido qui con voi (così li può vedere anche L. che non è mai riuscito a vederlo). C'è già tutto in questo incipit: la solitudine, le giornate inemozionali, il risveglio al mattino dopo lo sfogo sessuale della sera precedente con la escort...

...nei primi sette minuti vi si regala pure l'inquadratura del cazzo a riposo di Fassbender :P e non voglio commenti su quel pisello, ok?... Si invece, li voglio, ecccome ;)...

 il sentirsi ancora inappagati, la sega nella doccia, la seduzione esercitata con il solo sguardo sulla metropolitana (scena davvero seducente grazie anche alla colonna sonora in crescendo a sottofondo).


Poi c'è il resto del film, e parla di presa di coscienza di quanto ti sta accadendo. Di quanto quel piacere, che è un bisogno innegabile e da considerare per il proprio benessere, possa trasformarsi in una trappola. E quindi si annebbiano le capacità di creare relazioni serene. Non vi racconto ciò che potreste vedere nel film, i tentativi di "ripulirsi", di ricostruire un proprio vissuto affettivo, che è il clou di quest'opera.

Vi posto invece altri 5 minuti, disperati, quando la spasmodica ricerca del sesso "ora", "adesso", in una di quelle sere dove senti che anche un cane bagnato è meno solo di te e si va a mendicare ovunque, compresa una dark room gay che per Brandon, protagonista etero del film, è proprio l'ultimo ripiego.


Penso a quelle sere passate in chat, prima di buttarmi nell'incontro col primo "amore" A., penso a quella mia fase bulimica tra A. e gli inizi con L.
Penso a quanti gay in the closet rischiano di vivere la loro esperienza affettivo-sessuale solo così all'ombra di un pc...Attenzione, non sto dicendo che è un rischio per i gay, nel film è ad esempio chiaro che la problematica riguarda anche e molto gli etero, ma penso che una sessualità che si limita alla sola pulsione senza un tentativo di costruire un rapporto, un affetto, una conoscenza, anche solo un'amicizia, diventi col tempo mortificante. E penso, (forse è un mio pregiudizio) che noi ometti (e/o noi gay) siamo un po' più a rischio, così esperti di scop'amici quali siamo...

Ancora una volta il messaggio che mi porto dentro dopo aver visto questo film è che la vergogna non è il sesso o le porcate, la vergogna non è proprio l'appetito della carne. La vergogna è la solitudine che ci costruiamo da soli quando non sappiamo più ascoltare i nostri bisogni reali di relazione.

E intanto stasera si fa l'amore...

mercoledì 9 maggio 2012

Beauty

Sono uscito dal lavoro incazzato.
E' una di quelle situazioni in cui le persone, pur sapendo di aver sbagliato, continuano imperterrite a negare l'evidenza e come caterpillar schiacciano il lavoro di altri e glielo rendono difficile, quando basterebbe un po' di umiltà, dire "ok, ho fatto la sfuriata ma ora mi rendo conto di aver sbagliato, scusami".
La parola "scusami", il concetto "ho sbagliato" sono difficili per tutti. Intaccano la nostra autostima. Ma pare ci sia chi decide di sopraffare quella degli altri piuttosto che farsi una piccola autocritica. Se solo avessimo vera coscienza che il guardarci dentro con occhio distaccato ci fa anche crescere...

Comunque, esco dal lavoro incazzato ma lungo la strada vedo una ragazza che ferma l'auto, accosta al bordo e scende. Cazzo fa?
Mi sorprende. Prende il telefonino e si mette a fotografare una pianta di sambuco che in questi giorni è al massimo della fioritura. Particolari a cui neanche faccio caso, eppure, ora che noto questa situazione, vedo che ha ragione. Quel sambuco è uno spettacolo.

La bellezza... La bellezza ci riappacifica, almeno un po' con il mondo, quello nostro interiore soprattutto.

Meglio ancora, poco più avanti, un bel muratorino in pausa pranzo. Panino e lattina, torso nudo seduto su un muretto. Bellissimo ragazzo. Anche quello mi riappacifica. E l'umore cambia.
Di bellezza ne abbiam bisogno. Non siete d'accordo?

Potrei essere piuttosto incazzato per quello che mi è successo, ma è difficile restare arrabbiati quando c'è tanta bellezza nel mondo. A volte è come se la vedessi tutta insieme, ed è troppa. Il cuore mi si riempie come un palloncino che sta per scoppiare. E poi mi ricordo, di rilassarmi, e smetto di cercare di tenermela stretta. E dopo scorre attraverso me come pioggia, e io non posso provare altro che gratitudine, per ogni singolo momento della mia stupida, piccola vita Non avete la minima idea di cosa sto parlando, ne sono sicuro, ma non preoccupatevi: un giorno l'avrete.(dal film American Beauty)

martedì 1 maggio 2012

Salteranno mine al mio paese?


La signora Lorenza ha 83 anni, vive nella sua casetta, un cucinino e un letto matrimoniale, vuoto da 52 anni: rimase vedova in giovanissima età e neppure ebbe figli. La sua giornata è scandita da tempi semplici, la spesa al mattino, la messa pomeridiana, la visita al cimitero, le chiacchiere con i vicini, i saluti cordiali e l'interesse genuino verso tutti quelli che le vivono intorno, cura pure il suo piccolo orto, pur nella fatica dell'età e della sua schiena ormai gobba. Vive della sua pensione e la sera, al termine della giornata, si chiude in casa e guarda la tv. E' una di quelle signore che pur avendo il telecomando neanche lo usano. La tv si accende sul "Primo Canale" come dice lei, Rai1 insomma, e che diano Ballando con le stelle, una partita di calcio, la fiction su Padre Pio o un film, lei guarda sempre e solo quello. Alle dieci e mezza della sera, rigorosa, va a letto, non importa che il programma sia finito oppure no. Mi conosce sin da quando son nato ed è sempre cortese con me. Verso i miei 30 anni continuava a chiedermi quando mi sarei sposato, poi, verso i 40 ha smesso di chiedermelo, usando la sua squisita discrezione: sa che ad un certo punto certe domande sono come mettere il dito nella piaga.

Giorgio faceva il bidello, vive con la moglie e la sua passione è sempre stata l'Inter e il ballo liscio. Per quella squadra intesse discussioni anche accalorate al bar Sport della piazza. Lui, interista macchietta, gran chiacchierone che conosce tutto di tutti, ha visto crescere generazioni di ragazzini nella nostra scuola media e dal bar li ha visti diventare uomini. Sa tutto di noi, o perlomeno molto. L'estate con la moglie non manca alle sagre paesane dove ballare sulle balere in legno, l'inverno invece di sera si chiude in casa e la sua compagnia è la tv.

Ezio ha fatto una vita di lavoro nell'azienda agricola portata avanti con fatica insieme ai figli. I figli di agricoltori saranno sempre agricoltori, c'è un qualcosa di carnale nel possesso della terra. Una decina di anni fa l'ultimo figlio però ha mollato tutto. Un viaggio in Brasile, la conoscenza di una bella morettina, la testa che fa scintille e questo prende e parte e va a vivere là, in America rinunciando alla "sua parte" ma soprattutto, questo è il dolore di Ezio, tagliando le radici da quella cascina. Ezio fa finta di dire che non importa, ma soffre per questo distacco. Un aereo solo nella sua vita, 3 settimane per andare a trovare il figlio e vedere dove si è sistemato, ed ora la promessa che mai più lui farà un viaggio così. "Se vuole vedermi, mio figlio, verrà lui da me".

Gianna di figli ne ha 3, tutti maschi, cresciuti tutti nello stesso modo. Lei e il marito Giuseppe hanno avuto una discreta fortuna nel commercio. Per anni hanno pure viaggiato. Aerei e crociere, raccontando al paesello le loro avventure quando 30 anni fa erano pochi quelli che potevano permettersi questo. Gente aperta al mondo, teste più ampie. I figli han fatto le loro strade, nessuno ha continuato con la bottega, oggi chiusa. Un figlio, commercialista e sposato, il secondo figlio, meccanico, sposato anch'egli, il terzo infermiere. Sposato? Beh, no... forse convive, forse no. Dove abita? Mah, la risposta è sempre vaga. Ma di chi parliamo? Del terzo? Ah quello effemminato che, poveretto, ha sempre avuto solo scherni per tutta la sua infanzia e giovinezza...?


Domani sera andrà in onda su Rai1 in prima visione "Mine Vaganti" di Ozpetek. E' un evento. Non tanto per il film, non tanto per Ozpetek, ma perchè il tema dei figli gay, raccontato con grande rispetto, dove i personaggi macchietta non sono i frociarelli ma i genitori, quei genitori, va in onda sulla prima rete, la più nazional-popolare, la cattolica delle reti.
Sarà molto probabile che Lorenza, Giorgio, Ezio e Gianna lo vedano. Si imbatteranno in quel film, non per scelta, ma perchè viene lì, subito dopo i pacchi di Affari tuoi. E si troveranno a riflettere su questo mondo, un nuovo mondo. Qualche risata, qualche sorriso amaro, molti pensieri e un po' di sofferenza. Ma io credo che pur nelle loro visioni del mondo, pur nella fatica a comprendere, non potranno non entrare almeno un minimo in empatia con quei due figli gay che il film ci racconta. Figli belli e bravi. Persone, non macchiette, che raccontano il loro bisogno di libertà, di realizzazione, di amore. Un film così, se anche solo facesse il 15% di share, se solo lo vedessero 3 milioni di persone, è un contributo importante e un segnale forte alla nostra società. Quando si raccontano i sentimenti i messaggi vengono veicolati maggiormente. Più efficaci, credo, di una legittima e colorata sfilata del gay pride.


Uno stralcio, qui:
http://hereinthecloset.blogspot.it/2011/07/discorsi-importanti.html

martedì 10 aprile 2012

Talenti (in)nati

In ognuno di noi c'è un talento che aspetta di essere tirato fuori.
Quando scopri dentro di te ciò che riempie la tua vita non puoi più far finta di niente. Scatta una voglia di ribellione, una sete di realizzazione e il tuo corpo è tutto lì, la tua mente continuamente proiettata a quel desiderio che ti consuma, come una febbre, come un amore che non riesci a raggiungere.
Quando ti accorgi che per essere vivo hai bisogno di esprimere tutto te stesso, ogni resistenza che ti poni o che ti viene posta non è solo un ostacolo ma un morire dentro. In quel bisogno di essere, di respirare, di essere autentico, hai la sola necessità di presentarti senza filtri, metterti a nudo.
Rudolf Nureyev fotografato da Richard Avedon


Ripensavo a queste cose riguardandomi il film Billy Elliot, secondo me un film che è una metafora totale sul coming-out: la scoperta di se, delle proprie inclinazioni, il volerselo nascondere, praticare di nascosto, scontrarsi col giudizio della gente, con le incomprensioni della famiglia fino a che ci si rende conto che non viversi per come si è è come soffocare.
Ebbene, tutte le volte ci casco e mi immedesimo in quel ragazzino e rivedo in quel padre mio padre. Piango. Come un cretino, lo ammetto, piango. Ogni benedetta volta.
Quella forza nel sangue di Billy, le fatiche del padre son sempre lì a provocarmi e a mettermi il nodo alla gola.
Mi chiedo perchè, quando a 20 anni ho esercitato una forte ribellione in famiglia per portare avanti una scelta che andava controcorrente, quando, testardo all'inverosimile, ho avuto il coraggio per mettermi a nudo, quella cocciutaggine per voler essere IO, non ho avuto però il coraggio per il mio coming out. Solo quello forse, in quel momento, avrebbe risolto l'incompletezza che mi abitava.
Ma a 20 anni ancora non sapevo, anzi non volevo sapere di essere gay. Non avrei potuto nemmeno gridarlo durante un'incazzatura, perchè anche se percepivo già tutto, portavo in me una grossa confusione. La mia sessualità non mi era del tutto chiara (il fatto che mi attraessero pure le donne era rassicurante da un lato e mi creava confusione dall'altro) e da solo esercitavo su di me una grossa autocensura.

Vi ripropongo qui la scena in cui Billy si interroga sui primi sentimenti che prova con il suo amico e dove si ribella pubblicamente al padre con il coming-out sul suo voler essere, a tutti i costi, un ballerino.
Si, uso esattamente il termine coming-out, anche se non riguarda una dichiarazione di omosessualità, perchè il coraggio per venire allo scoperto appartiene a tutti quei desideri di cui ci vergognamo e per i quali ci castriamo.

Come Billy, sempre in tema di danzatori, vi lascio a questa lettera di Rudolf Nureyev. La potete leggere o ascoltare più sotto, in una riduzione magnificamente letta da Milena Vucotic. E' piena di passione, di fatiche ma soprattutto piena di ricerca del proprio posto in questo mondo. Trovare il proprio posto, la propria autenticità, il proprio senso: è come respirare.

"Era l’odore della mia pelle che cambiava, era prepararsi prima della lezione, era fuggire da scuola e dopo aver lavorato nei campi con mio padre perché eravamo dieci fratelli, fare quei due chilometri a piedi per raggiungere la scuola di danza. Non avrei mai fatto il ballerino, non potevo permettermi questo sogno, ma ero lì, con le mie scarpe consunte ai piedi, con il mio corpo che si apriva alla musica, con il respiro che mi rendeva sopra le nuvole. Era il senso che davo al mio essere, era stare lì e rendere i miei muscoli parole e poesia, era il vento tra le mie braccia, erano gli altri ragazzi come me che erano lì e forse non avrebbero fatto i ballerini, ma ci scambiavamo il sudore, i silenzi, a fatica. Per tredici anni ho studiato e lavorato, niente audizioni, niente, perché servivano le mie braccia per lavorare nei campi. Ma a me non interessava: io imparavo a danzare e danzavo perché mi era impossibile non farlo, mi era impossibile pensare di essere altrove, di non sentire la terra che si trasformava sotto le mie piante dei piedi, impossibile non perdermi nella musica, impossibile non usare i miei occhi per guardare allo specchio, per provare passi nuovi. Ogni giorno mi alzavo con il pensiero del momento in cui avrei messo i piedi dentro le scarpette e facevo tutto pregustando quel momento. E quando ero lì, con l’odore di canfora, legno, calzamaglie, ero un’aquila sul tetto del mondo, ero il poeta tra i poeti, ero ovunque ed ero ogni cosa. Ricordo una ballerina Elèna Vadislowa, famiglia ricca, ben curata, bellissima. Desiderava ballare quanto me, ma più tardi capii che non era così. Lei ballava per tutte le audizioni, per lo spettacolo di fine corso, per gli insegnanti che la guardavano, per rendere omaggio alla sua bellezza. Si preparò due anni per il concorso Djenko. Le aspettative erano tutte su di lei. Due anni in cui sacrificò parte della sua vita. Non vinse il concorso. Smise di ballare, per sempre. Non resse la sconfitta. Era questa la differenza tra me e lei. Io danzavo perché era il mio credo, il mio bisogno, le mie parole che non dicevo, la mia fatica, la mia povertà, il mio pianto. Io ballavo perché solo lì il mio essere abbatteva i limiti della mia condizione sociale, della mia timidezza, della mia vergogna. Io ballavo ed ero con l’universo tra le mani, e mentre ero a scuola, studiavo, aravo i campi alle sei del mattino, la mia mente sopportava perché era ubriaca del mio corpo che catturava l’aria. Ero povero, e sfilavano davanti a me ragazzi che si esibivano per concorsi, avevano abiti nuovi, facevano viaggi. Non ne soffrivo, la mia sofferenza sarebbe stata impedirmi di entrare nella sala e sentire il mio sudore uscire dai pori del viso. La mia sofferenza sarebbe stata non esserci, non essere lì, circondato da quella poesia che solo la sublimazione dell’arte può dare. Ero pittore, poeta, scultore. Il primo ballerino dello spettacolo di fine anno si fece male. Ero l’unico a sapere ogni mossa perché succhiavo, in silenzio ogni passo. Mi fecero indossare i suoi vestiti, nuovi, brillanti e mi dettero dopo tredici anni, la responsabilità di dimostrare. Nulla fu diverso in quegli attimi che danzai sul palco, ero come nella sala con i miei vestiti smessi. Ero e mi esibivo, ma era danzare che a me importava. Gli applausi mi raggiunsero lontani. Dietro le quinte, l’unica cosa che volevo era togliermi quella calzamaglia scomodissima, ma mi raggiunsero i complimenti di tutti e dovetti aspettare. Il mio sonno non fu diverso da quello delle altre notti. Avevo danzato e chi mi stava guardando era solo una nube lontana all’orizzonte. Da quel momento la mia vita cambiò, ma non la mia passione ed il mio bisogno di danzare. Continuavo ad aiutare mio padre nei campi anche se il mio nome era sulla bocca di tutti. Divenni uno degli astri più luminosi della danza. Ora so che dovrò morire, perché questa malattia non perdona, ed il mio corpo è intrappolato su una carrozzina, il sangue non circola, perdo di peso. Ma l’unica cosa che mi accompagna è la mia danza la mia libertà di essere. Sono qui, ma io danzo con la mente, volo oltre le mie parole ed il mio dolore. Io danzo il mio essere con la ricchezza che so di avere e che mi seguirà ovunque: quella di aver dato a me stesso la possibilità di esistere al di sopra della fatica e di aver imparato che se si prova stanchezza e fatica ballando, e se ci si siede per lo sforzo, se compatiamo i nostri piedi sanguinanti, se rincorriamo solo la meta e non comprendiamo il pieno ed unico piacere di muoverci, non comprendiamo la profonda essenza della vita, dove il significato è nel suo divenire e non nell’apparire. Ogni uomo dovrebbe danzare, per tutta la vita. Non essere ballerino, ma danzare. Chi non conoscerà mai il piacere di entrare in una sala con delle sbarre di legno e degli specchi, chi smette perché non ottiene risultati, chi ha sempre bisogno di stimoli per amare o vivere, non è entrato nella profondità della vita, ed abbandonerà ogni qualvolta la vita non gli regalerà ciò che lui desidera. È la legge dell’amore: si ama perché si sente il bisogno di farlo, non per ottenere qualcosa od essere ricambiati, altrimenti si è destinati all’infelicità. Io sto morendo, e ringrazio Dio per avermi dato un corpo per danzare cosicché io non sprecassi neanche un attimo del meraviglioso dono della vita… " RUDOLF NUREYEV

martedì 3 aprile 2012

Famiglie (in)consuete


-E' provato che i ragazzi che crescono in famiglie omogenitoriali sono tutti complessati, senza equilibrio, disadattati.
-No, è invece provato che i ragazzi che crescono in famiglie gay sono molto più maturi degli altri ragazzi, più sensibili e sereni.
Chi ha ragione?

Ieri sera mi son guardato un film che avevo perso alla sua uscita al cinema.
Mi son procurato il dvd e tranquillo me lo son guardato a casa.
Il film è "I ragazzi stanno bene" ed è una commedia molto divertente e del tutto credibile di una famiglia "inconsueta", temine che viene usato nel film. 
Si racconta di due lesbiche, le bravissime Julianne Moore e Annette Bening e dei loro due figli, procreati attraverso lo sperma dello stesso donatore.

I ragazzi, ormai adolescenti, di nascosto dalle loro madri riescono ad incontrare il loro padre biologico e da quel momento si innescheranno meccanismi che non vi racconto ma che vi consiglio di vedere. Il padre è interpretato da Mark Ruffalo, un belloccio non esageratamente bello ma decisamente molto maschio (d'altronde, un donatore di sperma...)
e buon trapanatore... ;)

A fare un film su questo tema c'è il rischio di raccontare situazioni estremizzate:
se il regista è pro-gay potrebbe raccontare di figli cresciuti benissimo, senza traumi, senza problematiche, molto maturi e comprensivi: un idillio. Di contro, se il regista fosse anti-gay racconterebbe di figli traumatizzati, di sofferenze subite, di incomprensioni, di ferite insanabili.
E così sarebbe anche nel racconto del rapporto di coppia delle due coniugi lesbiche: a essere pro-matrimoni omo si racconterebbe di famiglie alla Mulino Bianco, essere contro-matrimoni omo si racconterebbe di squallide dinamiche famigliari.

Questo film invece ha il merito di raccontare una storia dove i figli sono figli come tutti gli altri: adolescenti buoni ma anche un po' ribelli, tolleranti ma anche infastiditi e la storia della coppia lesbica è disegnata benissimo: una coppia che convive con le fatiche, gli alti e bassi, i bisogni di fedeltà e le tentazioni dei tradimenti, i momenti di coccole ma pure i litigi e le fatiche della sopportazione. Insomma, proprio come qualunque coppia etero.
Si scopre così che la famiglia inconsueta vive invece dinamiche del tutto consuete e comunque sia, anche per i più preoccupati per i figli degli altri quel che ne esce è che, alla fine di questa storia, "i ragazzi stanno bene".
Ve lo consiglio e vi lascio al trailer.

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