Sei mesi dopo andò appositamente a casa per dire loro che era lesbica. In seguito, per anni, si chiese perché l'avesse fatto - se si trattava, come aveva detto allora a se stessa, di un atto di integrità politica, motivato da un vero bisogno di essere onesta coi suoi genitori; o se invece non si trattava di vendetta vera e propria, vendetta e liberazione. A quel punto si era ormai convinta da parecchio tempo che il suo lesbismo fosse una cosa neutra, né buona né cattiva di per sé. Ma sapeva anche che questo fatto neutro della sua vita, una volta presentato ai genitori, sarebbe stato altrettanto potente di un machete brandito davanti alle loro facce e avrebbe causato ferite altrettanto profonde. Aveva fatto molti preparativi, consultato molti libri. «Il pomeriggio è il momento migliore» l'aveva consigliata Cornelia Patterson, e dunque Jerene, il pomeriggio, condusse cerimoniosamente i suoi genitori in soggiorno per dare loro la notizia. Mentre lei parlava suo padre guardò fuori della finestra verso gli oleandri in giardino; sua madre sedette sul sofà e pianse. «Hai finito?» le chiese Sam dopo che era stata in silenzio per qualche secondo.
«Sì, ho finito.»
«Allora ti dirò una cosa. Ti dirò che avrei preferito che mi dicessi che avevi un cancro.» Non distolse mai lo sguardo dagli oleandri.
«Papà» disse lei. «Come fai a dire una cosa del genere; come fai a startene lì e dirmi una cosa del genere?»
«Dico sul serio» disse lui, girandosi. «Sei sempre stata una delusione per noi, ci hai sempre dato dei problemi. E adesso tornare a casa con questo... Questa porcheria, questo sacrilegio. Cosa ti aspettavi che facessi, che mi rilassassi sulla poltrona e sorridessi?»
«E come un lutto» mormorò Margaret piano piano dal sofà, tra i singhiozzi. «È come se fosse morta.»
«Mamma!» disse Jerene. «Papà! Non dite queste cose. Io sono ancora la stessa. Sono sempre vostra figlia, la vostra Jerene. Vi prego! Sto solo cercando di essere onesta con voi, di dirvi la verità per una volta.»
Suo padre allontanò gli occhi da lei, guardò ancora una volta fuori della finestra. «Tu non sei mia figlia» disse. «Ringrazio Dio almeno per questo. Tu non sei mia figlia.»
E così strappò il machete che gli era stato piantato nel cuore, lo girò e tagliò via di netto Jerene.
(D. Leavitt - La lingua perduta delle gru)
Non ho molte parole per commentare.
RispondiEliminaGrazie per aver postato questo pezzo!
E auguri alle donne :)
bello questo pezzo.scoraggiante:-/ ma questo libro è una miniera...
RispondiEliminalost
Pochi come Leavitt riescono a rendere evidenti i sentimenti e gli stati d'animo dei personaggi.
RispondiEliminaMa uffi, la smetti di anticiparmi pezzi del libro... hahahahah... Besos! Grazie per gli auguri Mr.me...
RispondiElimina@ Mr.Me - già: auguri!
RispondiElimina@ lost - si, scoraggiante ma purtroppo anche vero. Ci sono anche situazioni così... Il libro è davvero una miniera... Chissà quanti brani ancora vi proporrò :)
@ loran - leggendo questo libro ritrovo tanti pensieri a cui io neanche sapevo dar voce. Questa è bravura.
@ Miky - metterò all'inizio del post l'acronimo NFM: not for Miky! :)
Hahahah, ok grazie! :)
RispondiEliminail mio percorso a ritroso nel tuo blog continua.. questo episodio mi ricorda molto una scena del film "V per vendetta", quando una ragazza dice ai suoi genitori di essere lesbica mentre tiene per mano la sua compagna.. la reazione del padre e della madre è identica a quella descritta in questo libro (che cercherò di leggere il prima possibile).. non riesco a capire, e non ci riuscirò mai, come sia possibile rinnegare i propri figli
RispondiEliminaClo
Io credo che le paure siano causa e conseguenza delle più incomprensibili reazioni.
EliminaP.S.: Ti consiglio davvero questo libro.